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Protezione europea dei whistleblower, cruciali nella lotta alle frodi

Strasburgo, 19 febbraio 2017. «Il Parlamento europeo ha inviato un segnale alla Commissione esortandola a garantire una protezione efficace ai whistleblower nell’Unione». Lo ha dichiarato a margine della sessione plenaria a Strasburgo l’eurodeputato francese Pascal Durand, vicepresidente del Gruppo Verdi-ALE (Alleanza libera europea).

«Il rapporto della Commissione bilancio del PE sottolinea il ruolo cruciale dei whistleblower per prevenire e portare alla luce sia la frode che la cattiva gestione del bilancio dell’Unione, proponendo, tra l’altro, di istituire un organismo indipendente che si occupi dell’allerta relativa alle frodi in questo settore».

«Per il nostro Gruppo, che ha presentato già mesi fa un progetto di direttiva europea volta proteggere i whistleblower, bisogna ovviamente andare oltre e dotarsi di uno strumento legislativo. L’obiettivo è di tutelare allo stesso modo, nell’UE, i cittadini che denunciano la frode o la cattiva gestione del denaro pubblico, insieme ai crimini ambientali, la violazione dei diritti umani o atti contro l’interesse generale, senza dover temere azioni di rappresaglia».

Da quando il Gruppo Verdi/ALE al Parlamento europeo ha lanciato, nel maggio 2016, la proposta di direttiva europea per la protezione del whistleblowing nell’Unione, la campagna su questo tema cruciale si è ampliata, e sono aumentati gli appelli – come quelli dei ministri europei delle finanze – affinché la Commissione agisca. In autunno è stata creata una coalizione di circa ottanta organizzazioni non governative e sindacati che chiedono a gran voce una legislazione mirata.

L’amministrazione europea ha anche pubblicato uno studio di impatto preliminare, che sottolinea le conseguenze della mancata protezione dei whistleblower nell’UE in termini di diritti umani o, ancora, di danni all’ambiente o alla salute. Si sta lavorando a una valutazione più globale che sarà pubblicata entro l’estate prossima. La Commissione dovrà dunque lanciare una consultazione pubblica aperta a tutti gli europei, che avranno la possibilità di esprimersi in merito.

Il Parlamento ha votato, in questa plenaria, una relazione che individua diverse basi legali da utilizzare per definire una legislazione. Parallelamente, la Commissione affari giuridici è ai blocchi di partenza – in attesa di una decisione sul gruppo o i gruppi politici che saranno incaricati del dossier – per elaborare un testo di iniziativa legislativa sul soggetto.

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Per la 1^ volta l’UE dovrà risarcire con più di 50.000 euro le parti per eccessiva durata del procedimento dinanzi al Tribunale dell’Unione

Lussemburgo, 18 gennaio 2017. Le società Gascogne Sack Deutschland (ex Sachsa Verpackung) e Gascogne (ex Groupe Gascogne) hanno adito il 23 febbraio 2006 il Tribunale dell’Unione europea affinché quest’ultimo annullasse una decisione adottata dalla Commissione in un procedimento relativo a un’intesa nel settore dei sacchi industriali. Il Tribunale ha respinto i loro ricorsi con sentenze del 16 novembre 2011. In seguito a impugnazioni, la Corte di giustizia ha confermato, con sentenze del 26 novembre 2013, le sentenze del Tribunale e, pertanto, le ammende dall’importo totale di 13,2 milioni di euro inflitte alle due società. La Corte ha, tuttavia, osservato che le due società potevano proporre ricorso per risarcimento degli eventuali danni causati dall’eccessiva durata del procedimento dinanzi al Tribunale.

Le società Gascogne Sack Deutschland e Gascogne chiedono quindi al Tribunale di condannare l’Unione europea al pagamento di circa 4 milioni di euro come risarcimento, sia a titolo di danno materiale (la richiesta è per circa 3,5 milioni di euro) sia a titolo di danno morale (la richiesta è per 500.000 euro), danni che le predette società asseriscono di aver subìto in ragione dell’eccessiva durata del procedimento dinanzi al Tribunale. Si tratta della prima causa in materia a essere decisa.

Con la sentenza nella causa T-577/14 del 10 gennaio 2017, il Tribunale, statuendo in composizione ampliata e diversa da quella che ha originariamente deciso la controversia, accoglie in parte i ricorsi delle due società, riconoscendo un’indennità di 47.064,33 euro alla Gascogne a titolo di danno materiale subìto, e di 5.000 euro a ciascuna delle due società a titolo di danno morale.
Il Tribunale ricorda, anzitutto, che può essere sollevata questione di responsabilità extracontrattuale dell’Unione se sono soddisfatte le tre seguenti condizioni cumulative: 1) illiceità del comportamento contestato all’istituzione interessata, 2) effettività del danno e 3) sussistenza di un nesso di causalità tra detto comportamento e il danno lamentato.

Quanto alla prima condizione (illiceità del comportamento contestato alla Corte di giustizia dell’Unione europea in quanto istituzione dell’Unione), il Tribunale ritiene che il diritto che la causa sia decisa in un termine ragionevole, sancito nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE, sia stato violato in ragione dell’eccessiva durata del procedimento nelle cause T-72/06 e T-79/06. Infatti, il procedimento si è protratto per circa cinque anni e nove mesi e nessuna delle circostanze di dette cause poteva giustificare una tale durata.

In particolare, il Tribunale rileva che, in materia di concorrenza (un settore che presenta un livello di complessità superiore a quello di altri tipi di cause), una durata di quindici mesi tra la fine della fase scritta del procedimento, da un lato, e, dall’altro, l’apertura della fase orale è, in linea di principio, una durata adeguata. Nelle predette cause, invece, tra le due fasi sono passati circa 3 anni e 10 mesi, dunque 46 mesi.

Il Tribunale considera, nondimeno, che la trattazione parallela di cause connesse può giustificare un prolungamento del procedimento per il periodo di un mese per ogni ulteriore causa connessa. Pertanto, nella specie, la trattazione parallela di 12 ricorsi diretti contro la medesima decisione della Commissione ha giustificato un prolungamento del procedimento di 11 mesi nelle cause T-72/06 e T-79/06.

Il Tribunale conclude che una durata di 26 mesi (15 mesi + 11 mesi) tra la fine della fase scritta del procedimento e l’apertura della fase orale del procedimento era adeguata per trattare le cause T-72/06 e T-79/06, atteso che il livello di complessità fattuale, giuridica e processuale di tali cause non implicava un lasso di tempo più lungo. Di conseguenza, la durata di 46 mesi dalla fine della fase scritta del procedimento all’apertura della fase orale del procedimento rende manifesto un periodo di inerzia ingiustificata di 20 mesi in ciascuna delle due cause succitate. Non risultano, invece, altri periodi di inerzia ingiustificata nel resto del procedimento.

Quanto alla seconda condizione della responsabilità dell’Unione (effettività del danno subìto), il Tribunale rileva che la Gascogne ha subìto un danno materiale effettivo e reale in quanto, nel corso del periodo di inerzia ingiustificata del Tribunale, essa ha riportato perdite per le spese di costituzione della garanzia bancaria a favore della Commissione che ha dovuto sostenere. Il Tribunale non riconosce, per contro, gli altri danni materiali allegati dalla Gascogne Sack Deutschland e dalla Gascogne.

Il Tribunale constata che anche la terza condizione della responsabilità dell’Unione (sussistenza di un nesso di causalità tra il comportamento illecito e il danno lamentato) è soddisfatta: infatti, se il procedimento nelle cause T-72/06 e T-79/06 non si fosse protratto oltre il ragionevole termine di giudizio, la Gascogne non avrebbe dovuto sostenere le spese di garanzia bancaria per il periodo di durata eccedente.

Il Tribunale accorda quindi alla Gascogne un’indennità di 47.064,33 euro a titolo di risarcimento del danno materiale che le ha comportato il superamento del ragionevole termine di giudizio nelle cause T-72/06 e T-79/06 e che consiste nel pagamento di spese aggiuntive di garanzia bancaria.

Il Tribunale riconosce, poi, che la Gascogne Sack Deutschland e la Gascogne hanno subìto un danno morale in conseguenza dell’eccessiva durata del procedimento nelle cause T-72/06 e T-79/06: infatti, il superamento del ragionevole termine di giudizio in dette cause è stato tale da riversare le due società in uno stato d’incertezza maggiore di quello solitamente provocato da un procedimento giurisdizionale. Tale prolungato stato d’incertezza ha necessariamente influito sulla pianificazione delle decisioni da adottare e sulla gestione di dette società e ha dunque comportato un danno morale.

Il Tribunale giudica opportuno accordare a ciascuna delle due società un’indennità di 5.000 euro a titolo di risarcimento del danno morale.

Peraltro, l’indennità di 47.064,33 euro accordata alla Gascogne dovrà essere rivalutata con gli interessi compensativi, a decorrere dal 4 agosto 2014 e fino alla data della sentenza, al tasso d’inflazione annuo constatato, per il periodo in questione, da Eurostat in Francia (Stato membro di stabilimento della Gascogne). Del pari, tanto l’indennità di 47.064,33 euro quanto le indennità di 5.000 riconosciute a ciascuna delle due società dovranno essere maggiorate degli interessi di mora, a decorrere dalla data della sentenza fino al pagamento integrale delle indennità medesime, al tasso fissato dalla Banca centrale europea per le sue principali operazioni di rifinanziamento, aumentato di due punti percentuali.

Contro la decisione del Tribunale, entro due mesi a decorrere dalla data della sua notifica, può essere proposta un’impugnazione, limitata alle questioni di diritto, dinanzi alla Corte di giustizia dell’UE.

whistleblowing

Whistleblowing e diritti umani, non un concetto astratto ma obiettivo da raggiungere

 Bruxelles, 20 novembre 2016. Ha avuto luogo al Parlamento europeo di Bruxelles l’iniziativa “Diritti Umani e Whistleblowing, una legislazione che protegga le vittime”, ospitata dall’eurodeputata Elly Schlein (S&D – Possibile) e promossa da “A change of Direction”, dal gruppo S&D e dall’Intergruppo parlamentare ITCO che si occupa di trasparenza e anticorruzione.

“Sono felice di aver ospitato l’evento – ha dichiarato l’eurodeputata – E’ un’occasione per rilanciare la battaglia del nostro Intergruppo ITCO per una direttiva europea che fissi standard minimi di protezione dei whistleblower. Sono solo otto i paesi europei che hanno una normativa compiuta, negli altri è limitata o inesistente. I recenti scandali, da LuxLeaks ai Panama Papers, hanno dimostrato che il ruolo dei whistleblower nella lotta alla corruzione, all’evasione fiscale e alla criminalità organizzata è fondamentale. Trattandosi di crimini sempre più transnazionali, che intaccano un vero e proprio interesse pubblico europeo, si rende necessaria una risposta europea, che includa la tutela di chi parla, e che troppo spesso viene lasciato solo, quando non addirittura discriminato o criminalizzato. La vicenda di Andrea Franzoso, che ha denunciato una serie di illeciti riguardanti la gestione di Ferrovie Nord Milano, ne è un esempio eclatante: ci vogliono canali sicuri e tutela contro ogni forma di ritorsione o discriminazione. E’ tempo che l’Unione europea chiarisca da che parte sta nella lotta contro corruzione, evasione e mafie”.

Andrea Franzoso, whistleblower, consulente e attivista di “Riparte il futuro” – ha denunciato una serie di irregolarità nella gestione di Ferrovie Nord Milano che hanno portato alle dimissioni del Presidente della società, poi rinviato a giudizio – ha sottolineato che “whistleblowing e diritti umani non è un concetto astratto. È un obiettivo che ci poniamo di raggiungere a breve termine. L’appuntamento di oggi è importante perché vogliamo lanciare il sasso nello stagno europeo. Stagno fatto di stalli, di veti e di mancanza di visione. L’Europa può crescere se rinnova i suoi ideali primari, tra cui la trasparenza e la giustizia”.

Facendo riferimento ad Ana Garrido Ramos e a Srecko Sladojev, due whistleblower rispettivamente spagnola e croato (vedi Tempo d’Europa del 10 novembre scorso), Andrea ha puntualizzato che “io e le altre due persone che sono intervenute oggi a Bruxelles non siamo ‘eroi borghesi’, come verrebbe facile dire usando una definizione ormai abusata. Siamo persone che hanno fatto semplicemente il loro dovere. Quello che chiediamo con forza è che chi -come noi – non gira la testa dall’altra parte sia tutelato in tutti gli ordinamenti degli Stati membri dell’UE, attraverso una normativa uniforme comunitaria. È un diritto minimo. Primario. È un diritto umano. L’obiettivo di una normativa prima nazionale e in un secondo livello europeo è la fase uno. La fase due la lanciamo già ora, e vedrà come interlocutore le Nazioni Unite. Diritto umano vuol dire automaticamente universale. È un diritto che deve essere valido e pacifico a nord a sud, a est a ovest, ovunque. Siamo visionari? Forse. Questo mondo si cambia con le idee e gli ideali. Non con le difese di particolarismi e di decimali del PIL”.

Nell’ambito dell’evento è stato presentato il progetto europeo “A change of Direction”, finanziato dalla Direzione Affari interni della Commissione europea, che vede coinvolte Ong e università europee, tra cui “Riparte il futuro”.

http://www.radiowebitalia.it/103658/tempo-deuropa/whistleblowing-e-diritti-umani-non-un-concetto-astratto-ma-obiettivo-da-raggiungere.html

Home|Tempo d’Europa| L’Italia inadempiente per non aver garantito indennizzo equo alle vittime di tutti i reati dolosi violenti in situazioni transfrontaliere
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L’Italia inadempiente per non aver garantito indennizzo equo alle vittime di tutti i reati dolosi violenti in situazioni transfrontaliere

Lussemburgo, 20 novembre 2016. Secondo una direttiva dell’Unione europea, le vittime di reati dolosi violenti dovrebbero avere il diritto di ottenere un indennizzo equo e adeguato per le lesioni subite, indipendentemente dal luogo dell’Unione in cui il reato è stato commesso. Gli Stati membri devono mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi a tale direttiva.

In Italia, diverse «leggi speciali» prevedono, a determinate condizioni, la concessione di un indennizzo a carico dello Stato a favore delle vittime di talune forme di reati dolosi violenti (in particolare, i reati legati al terrorismo e alla criminalità organizzata). In seguito alla trasposizione della direttiva in Italia, tali leggi sono destinate ad applicarsi anche alle situazioni transfrontaliere (in linea generale, quando la vittima di un reato commesso nel territorio italiano è cittadina di altro Stato membro).

La Commissione ha promosso un ricorso per inadempimento contro l’Italia dinanzi alla Corte di giustizia. Essa sostiene che l’Italia, non avendo creato un sistema generale d’indennizzo in grado di coprire tutte le tipologie di reati dolosi violenti nelle situazioni transfrontaliere (quali lo stupro, le gravi aggressioni di natura sessuale, gli omicidi, le lesioni personali gravi e, in linea generale, qualsiasi reato che non rientri nell’ambito di applicazione delle «leggi speciali»), è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell’Unione.

L’Italia afferma, invece, di essersi conformata agli obblighi derivanti dalla direttiva. A suo parere, dalla direttiva emerge che gli Stati membri devono unicamente consentire ai cittadini dell’Unione residenti in un altro Stato membro di avere accesso ai sistemi di indennizzo già previsti dalle norme nazionali adottate in favore dei loro cittadini.

Con la sua sentenza nella causa C-601/14 Commissione europea / Repubblica italiana, la Corte sottolinea che il sistema di cooperazione istituito dalla direttiva richiede il rispetto del principio di non discriminazione sulla base della cittadinanza per quanto riguarda l’accesso all’indennizzo delle vittime di reati nelle situazioni transfrontaliere. La direttiva impone altresì a ogni Stato membro di adottare, al fine di tutelare la libera circolazione delle persone nell’Unione, un sistema nazionale che garantisca un livello minimo di indennizzo equo e adeguato per le vittime di qualsiasi reato doloso violento commesso nel suo territorio.
Gli Stati membri dispongono, in linea di principio, della competenza a precisare la portata della nozione di «reato doloso violento» nel loro diritto interno. Tuttavia, essi non possono limitare il campo di applicazione del sistema di indennizzo delle vittime soltanto ad alcuni dei reati dolosi violenti.

La Corte conclude dichiarando che l’Italia, non avendo adottato tutte le misure necessarie al fine di garantire l’esistenza, nelle situazioni transfrontaliere, di un sistema di indennizzo delle vittime di qualsiasi reato doloso violento commesso sul proprio territorio, non ha correttamente trasposto la direttiva.

Da ricordare: la Commissione o un altro Stato membro possono proporre un ricorso per inadempimento diretto contro uno Stato membro che è venuto meno ai propri obblighi derivanti dal diritto dell’Unione. Qualora la Corte di giustizia accerti l’inadempimento, lo Stato membro interessato deve conformarsi alla sentenza senza indugio.
La Commissione, qualora ritenga che lo Stato membro non si sia conformato alla sentenza, può proporre un altro ricorso chiedendo sanzioni pecuniarie. Tuttavia, in caso di mancata comunicazione delle misure di attuazione di una direttiva alla Commissione, su domanda di quest’ultima, la Corte di giustizia può infliggere sanzioni pecuniarie, al momento della prima sentenza.

L’Italia inadempiente per non aver garantito indennizzo equo alle vittime di tutti i reati dolosi violenti in situazioni transfrontaliere

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Parlamento europeo

Diritti umani e whistleblowing, una legislazione che protegga le vittime, al Parlamento europeo

Bruxelles, 10 novembre 2016. Giovedì prossimo 17 novembre, alle 10.00, presso il Parlamento europeo di Bruxelles Andrea Franzosoattivista e consulente di Riparte il futuro – partecipa all’incontro “Diritti Umani e Whistleblowing, una legislazione che protegga le vittime”.

Il dibattito è promosso dal gruppo S&D e dall’Intergruppo parlamentare ITCO che si occupa di trasparenza e anticorruzione.

Nel corso della mattinata verrà presentato il progetto europeo “A change of Direction”, finanziato dalla Direzione Affari Interni della Commissione europea, che vede coinvolte Ong e università europee, tra cui Riparte il futuro, e verranno offerte tre testimonianze di diversi whistleblower: Andrea Franzoso, Ana Garrido e Sreko Sladoljev.

Ecco le loro storie.

Andrea Franzoso è un whistleblower italiano che ha portato alla luce gli illeciti avvenuti all’interno dell’azienda per cui lavora, Ferrovie Nord Milano. Andrea decise di andare dai Carabinieri per denunciare alcune irregolarità riscontrate nella gestione aziendale, già segnalate in un report di audit che aveva presentato internamente e che era stato poco apprezzato dai suoi superiori. A seguito della sua denuncia, la Procura della Repubblica di Milano avvia un’indagine che ha portato alle dimissioni dell’allora presidente della società, rinviato ora a giudizio per peculato e truffa aggravata. Per la sua azione, Andrea non solo non ha ricevuto complimenti o pacche sulle spalle, ma si è anzi trovato a dover subire una sorta di isolamento da parte di molti colleghi e dei suoi superiori; è stato esautorato dai suoi incarichi e, infine, trasferito dalla funzione di internal audit a un altro ufficio, con un ruolo marginale. È a questo punto che ha deciso di intentare causa alla sua azienda, chiedendo di poter essere reintegrato nella sua precedente mansione.

Ana Garrido Ramos è una whistleblower spagnola la cui testimonianza ha giocato un ruolo chiave nello scoprire una complessa rete di corruzione legata al Partito Popolare. Impiegata del Consiglio comunale di Boadilla del Monte, un comune vicino Madrid, nel 2007, come parte del suo ruolo nel settore giovanile, Ana ha iniziato a ricevere strane istruzioni sull’assegnazione di alcuni contratti che avrebbero favorito alcune società a discapito di altre. E’ stato così che Ana ha scoperto che, sotto il sindaco Arturo Gonzalez Panero, appartenente al Partito Popolare, si era creata una sorta di rete di corruzione con lo scopo di assegnare appalti a una determinata rete di aziende. Alla fine, la signora Garrido ha vinto una causa contro il Consiglio comunale di Boadilla ma non ha ancora ricevuto la sua compensazione poiché il Comune ha presentato ricorso contro la sentenza.

Srecko Sladojev è un whistleblower croato che figura tra i membri del comitato direttivo dell’Istituto di Immunologia pubblica di Zagabria quando scoppia il caso del virus H1N1. Aveva denunciato la mancanza di trasparenza nel processo decisionale dell’istituzione riguardo l’acquisto del vaccino, pensando che la situazione fosse tale da causare gravi danni sia per la società sia per il pubblico, visto che il produttore aveva dichiarato di non accettare alcuna responsabilità per gli effetti del vaccino potenzialmente indesiderabili. Dopo aver informato il proprietario e i cittadini su questi possibili rischi, Sladoljev è stato poi sospeso dall’istituzione per aver rivelato un segreto commerciale relativo al contratto tra l’azienda e il comitato direttivo dell’Istituto di sanità pubblica.

Come ricorda Federico Anghelé di Riparte il futuro, “questo appuntamento risulta centrale per la battaglia che stiamo conducendo in Italia – con Transparency International Italia – per l’introduzione di una legge a favore dei whistleblower. A Bruxelles verrà offerto un progetto di azione comune“A Change of Direction” – che coinvolge tutti i 28 paesi UE. Verrà rimarcata l’importanza di denunciare la corruzione. E’ l’ora di passare dalle parole ai fatti. L’Europa in questo momento sta vivendo una sua difficile fase congiunturale. C’è da augurarsi che sul fronte della corruzione e della tutela delle voci di giustizia trovi presto un’unità d’intenti. Ce lo auguriamo in particolare per l’Italia, paese fondatore dell’Unione. Non è un caso che l’incontro al PE contenga un richiamo ai diritti umani. E’ un diritto umano riconoscere la difesa di figure che decidono di mettersi in gioco in prima persona a favore della comunità”.

Diritti umani e whistleblowing, una legislazione che protegga le vittime, al Parlamento europeo

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Su appalti pubblici e partecipazione a gare interviene la Corte UE

Lussemburgo, 9 agosto 2016. Il geometra Pippo Pizzo, titolare dell’omonima impresa di servizi ecologici, ha impugnato davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in proprio e nella qualità di mandatario designato della costituenda associazione temporanea di imprese (A.T.I.) con la ditta Onofaro Antonino (nel prosieguo, anche collettivamente, “Pizzo”), la sentenza del T.a.r. per la Sicilia, sezione staccata di Catania, che l’aveva sostanzialmente escluso dall’aggiudicazione di una gara d’appalto.

Con bando pubblicato nel mese di novembre 2012, l’Autorità portuale di Messina aveva indetto una procedura aperta, di rilevanza europea, per l’aggiudicazione del servizio quadriennale di gestione dei rifiuti e dei residui del carico, prodotti a bordo delle navi facenti scalo entro la circoscrizione territoriale dell’Autorità medesima (servizio in precedenza gestito dalla CRGT s.r.l.). La Commissione di gara, nella seduta del 16 maggio 2013, dava atto dell’avvenuta presentazione di quattro offerte (tra cui ATI Pizzo e CRGT s.r.l.). L’appalto era stato aggiudicato all’ATI Pizzo mentre le altre concorrenti, compresa la CRGT, erano state escluse dalla gara in ragione del mancato pagamento del contributo all’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici (AVCP).

La CRGT impugnava davanti al TAR Sicilia l’aggiudicazione a favore di Pizzo, lamentando di essere stata ingiustamente estromessa. Pizzo, a sua volta, si difendeva affermando che la CRGT doveva comunque essere esclusa dalla gara, in quanto, oltre a non avere versato il contributo all’Autorità di Vigilanza, aveva anche omesso di produrre due idonee referenze bancarie, come previsto dal disciplinare d’appalto, che imponeva alle imprese partecipanti di comprovare la loro capacità economica e finanziaria mediante la produzione delle dichiarazioni di almeno due istituti bancari.

Il TAR dava ragione a CRGT, rilevando, in sintesi, che: a) il requisito dell’indicazione di un doppio istituto bancario era stato integrato da CRGT mediante indicazione di un’impresa ausiliaria, la quale a sua volta aveva indicato un solo istituto bancario; b) l’obbligo del pagamento del contributo all’AVCP non era previsto né nel bando né nel disciplinare di gara; c) tale obbligo è comunque previsto espressamente dalla legge solo per le opere pubbliche (mentre nel caso di specie trattasi di appalto di servizi).

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, davanti al quale la suddetta sentenza del TAR è stata impugnata, ha sollevato una duplice questione pregiudiziale, chiedendo alla Corte di giustizia dell’Unione europea:

1) se il diritto dell’Unione osti oppure no alla normativa italiana che (come già affermato dal TAR) consente, nel caso di specie, l’avvalimento frazionato dei requisiti posseduti da altra impresa (requisito della doppia referenza bancaria);

2) se i principi generali del diritto dell’Unione, quali la tutela del legittimo affidamento, della certezza del diritto e della proporzionalità, ostino oppure no all’esclusione di un partecipante a una procedura di evidenza pubblica che non abbia compreso un obbligo non espressamente indicato dagli atti di gara ma derivante dall’interpretazione estensiva di una norma di legge.

Con la sentenza nella causa C-27/15, Pippo Pizzo e altri/ CRGT srl, la Corte ha risposto ai dubbi del giudice del rinvio, riferendosi alla propria precedente giurisprudenza.

Quanto al punto 1), i giudici si sono richiamati alla sentenza resa il 10 ottobre 2013 nella causa Swm Costruzioni C-94/12, già citata dall’Avvocato Generale Campós Sanchez Bordona nelle sue conclusioni, nella quale la Corte aveva dichiarato che il diritto dell’Unione non vieta, in via di principio, ai candidati o agli offerenti di fare riferimento alle capacità di uno o più soggetti terzi per comprovare un livello minimo di capacità. E’, a maggior ragione, possibile per un candidato o un offerente, in via generale, avvalersi delle capacità e dei requisiti di uno o più soggetti terzi – ivi comprese le referenze bancarie – in aggiunta ai propri, al fine di soddisfare i criteri fissati da un’amministrazione aggiudicatrice. La Corte specifica che, beninteso, il bando dell’appalto può prevedere espressamente limiti alla possibilità di fare ricorso alle capacità di terzi nel caso specifico: spetterà al giudice nazionale il compito di verificare l’esistenza e la portata di eventuali clausole in tal senso.

La Corte ricorda inoltre che, attualmente, sono stati introdotti nuovi limiti da una direttiva del 2014, la quale, però, non si applica nel caso di specie, trattandosi di gara d’appalto indetta prima dell’entrata in vigore della direttiva medesima.

Quanto al punto 2), relativo all’obbligo di pagamento del contributo all’Autorità di Vigilanza, la Corte UE afferma che l’esclusione dalla gara per il mancato rispetto di un’obbligazione che non risulta espressamente dagli atti di gara o da una legge nazionale cozza con i principi di parità di trattamento e di proporzionalità e con l’obbligo di trasparenza della P.A. L’amministrazione aggiudicatrice, in un’ipotesi del genere, dovrebbe quantomeno accordare al concorrente escluso un termine aggiuntivo sufficiente a permettergli di regolarizzare la propria posizione. In particolare, come sottolinea la Corte, in materia di appalti pubblici di opere o di servizi, la possibilità di un’impresa di partecipare a una gara non può dipendere dalla sua conoscenza della linea interpretativa seguita dai Giudici dello Stato in cui si svolge la gara, perché in questo modo le imprese straniere sarebbero discriminate rispetto a quelle locali.

Su appalti pubblici e partecipazione a gare interviene la Corte UE

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Corte UE, no a proroga automatica delle concessioni balneari in assenza di procedure di selezione dei potenziali candidati

Lussemburgo, 7 agosto 2016. La direttiva servizi (2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno – GU L 376, pag. 36). concretizza la libertà di stabilimento nonché i principi di non discriminazione e di tutela della concorrenza.Il suo articolo 12 disciplina l’ipotesi specifica in cui, tenuto conto della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato. In tale contesto, essa prevede che gli Stati membri possano subordinare un’attività di sfruttamento economico a un regime di autorizzazione.

In Italia, la normativa nazionale ha disposto una proroga automatica e generalizzata della data di scadenza delle concessioni rilasciate, anche senza previa procedura di selezione, per lo sfruttamento turistico di beni demaniali marittimi e lacustri (spiagge in particolare). La scadenza è stata da ultimo rinviata al 31 dicembre 2020.

Nonostante tale legge, ad alcuni operatori privati del settore turistico è stata negata da parte delle autorità italiane la proroga delle concessioni. Essi hanno quindi presentato ricorso contro tali provvedimenti di diniego. I giudici italiani aditi si sono rivolti alla Corte di giustizia di Lussemburgo per ricevere chiarimenti in merito alla compatibilità della normativa italiana con il diritto dell’Unione.

Con la sentenza nelle cause riunite C-458/14, Promoimpresa S.r.l./Consorzio dei comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro e a. e C-67/15 Mario Melis e a./Comune di Loiri Porto San Paolo e a., la Corte sottolinea, anzitutto, che spetta al giudice nazionale verificare, ai fini dell’applicazione della direttiva, se le concessioni italiane debbano essere oggetto di un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali.

Nel caso in cui la direttiva sia applicabile, la Corte precisa, poi, che il rilascio di autorizzazioni relative allo sfruttamento economico del demanio marittimo e lacustre deve essere soggetto a una procedura di selezione tra i potenziali candidati, che deve presentare tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza (in particolare un’adeguata pubblicità). La proroga automatica delle autorizzazioni non consente, dunque, di organizzare una siffatta procedura di selezione.

Certamente l’articolo 12 della direttiva dà la possibilità agli Stati membri di tener conto, nello stabilire la procedura di selezione, di motivi imperativi di interesse generale, quali, in particolare, la necessità di tutelare il legittimo affidamento dei titolari delle autorizzazioni di modo che essi possano ammortizzare gli investimenti effettuati. Tuttavia, considerazioni di tal genere non possono giustificare una proroga automatica, qualora al momento del rilascio iniziale delle autorizzazioni non sia stata organizzata alcuna procedura di selezione. L’articolo 12 della direttiva osta, pertanto, a una misura nazionale che, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati, prevede la proroga automatica delle autorizzazioni di sfruttamento del demanio marittimo e lacustre per attività turistico-ricreative.

La Corte precisa, infine, che, nel caso in cui la direttiva non fosse applicabile e qualora una concessione siffatta presenti un interesse transfrontaliero certo, la proroga automatica della sua assegnazione a un’impresa con sede in uno Stato membro costituisce una disparità di trattamento a danno delle imprese con sede negli altri Stati membri e potenzialmente interessate a tali concessioni, disparità di trattamento che è, in linea di principio, contraria alla libertà di stabilimento.

Il principio della certezza del diritto, che mira a consentire ai concessionari di ammortizzare i loro investimenti, non può essere invocato per giustificare una siffatta disparità di trattamento, dal momento che le concessioni sono state attribuite quando già era stato stabilito che tale tipo di contratto (che presenta un interesse transfrontaliero certo) doveva essere soggetto a un obbligo di trasparenza.

Va ricordato che il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

Corte UE, no a proroga automatica delle concessioni balneari in assenza di procedure di selezione dei potenziali candidati

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Tribunale UE

Il Tribunale UE si prepara all’arrivo di nuovi membri

Lussemburgo, 3 maggio 2016. Il testo recante riforma, in tre fasi successive, dell’architettura giurisdizionale della Corte di giustizia dell’Unione europea prevede, in un primo tempo, che dodici nuovi giudici saranno nominati presso il Tribunale dell’Unione europea e, in un secondo tempo, che sette altri giudici aderiranno a quest’ultimo in ragione dell’integrazione dei posti dell’attuale Tribunale della funzione pubblica, portando il numero dei membri del Tribunale dell’UE a 47 alla data del 1° settembre prossimo. La terza fase consisterà nel nominare nove giudici in più nel 2019.

Al fine di preparare l’arrivo di 19 nuovi giudici, il Tribunale ha adottato una serie di misure destinate a garantire al singolo un controllo giurisdizionale di primo grado rapido, approfondito e coerente. Da un punto di vista strutturale, il modello applicato sarà quello di un Tribunale organizzato in nove sezioni composte da cinque giudici, che possono riunirsi ciascuna in due collegi a tre giudici presidiati dal presidente della sezione a cinque giudici.

La nuova struttura prenderà effetto in settembre. Nel frattempo, i dodici nuovi giudici saranno transitoriamente integrati nell’attuale. La nuova struttura:

– per il fatto di essere sufficientemente coesa, preserverà la coerenza del sistema conservando il collegio a tre giudici come collegio giudicante ordinario;

– faciliterà il rinvio delle cause a collegi a cinque giudici e la sostituzione di giudici colpiti da impedimento nell’ambito della stessa sezione;

– attribuirà ai presidenti di sezione un ruolo rafforzato nel coordinamento e nella coerenza giurisprudenziale.

Infine, secondo la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al trasferimento al Tribunale dell’Unione europea della competenza a decidere, in primo grado, sulle controversie tra l’Unione e i suoi agenti a partire dal 1° settembre 2016 (attualmente in corso di esame da parte del legislatore), tutte le cause in materia di funzione pubblica, trasferite dal Tribunale della funzione pubblica al Tribunale dell’Unione europea, saranno trattate nello stato in cui si trovano a tale data e potranno essere oggetto di un’impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia. Prossimamente saranno sottoposte all’approvazione del Consiglio alcune proposte di modifica del regolamento di procedura del Tribunale destinate a dotare quest’ultimo di un quadro processuale appropriato per il trattamento in primo grado delle controversie tra l’Unione europea e i suoi funzionari e agenti.

http://www.radiowebitalia.it/89584/tempo-deuropa/il-tribunale-ue-si-prepara-allarrivo-di-nuovi-membri.html

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Caterina Chinnici, svolta storica nella legislazione UE: nasce il giusto processo penale minorile europeo

Strasburgo, 3 aprile 2016. “Nasce il giusto processo penale minorile europeo. Sul piano giuridico e dei diritti della persona, si tratta di un atto di maturità e di una svolta storica nella legislazione dell’Unione europea, perché per la prima volta viene introdotta una disciplina specifica dei procedimenti penali nei confronti di minori. Il risultato raggiunto, nel quale si riflette in buona parte l’esperienza del sistema italiano, è frutto di un ampio dibattito al quale hanno contribuito con sensibilità e idee sia gli attori istituzionali che le parti sociali, ed è un risultato di cui possiamo essere orgogliosi”. Così l’eurodeputata di S&D Caterina Chinnici fotografa il significato della direttiva europea sulle garanzie procedurali per i minori penalmente indagati o imputati, di cui è relatrice per conto della commissione Libe (Giustizia) del Parlamento europeo. L’approvazione a larga maggioranza da parte della plenaria, seguita ai negoziati trilaterali con Commissione europea e Consiglio dell’Unione europea, condotti dall’europarlamentare siciliana.

Dopo un ultimo passaggio confermativo in Consiglio, la direttiva sarà pubblicata in gazzetta ufficiale e dal quel momento gli Stati membri avranno 36 mesi di tempo per uniformare la normativa interna. La legge riguarderà circa un milione di persone: tanti sono, secondo le stime della Commissione, i minori che ogni anno in Europa entrano formalmente in contatto con le forze dell’ordine e con la giustizia (il 12% del totale della popolazione coinvolta in procedimenti penali).

“Il testo è un catalogo di diritti e garanzie minime – aggiunge Caterina Chinnici – che colma le attuali distanze tra gli ordinamenti nazionali e delinea, almeno nei tratti essenziali, un modello europeo condiviso di giusto processo minorile in cui possa realizzarsi l’equilibrio tra l’esigenza di accertare i fatti di reato, con le relative responsabilità, e quella di tenere nella dovuta considerazione le vulnerabilità e gli specifici bisogni dei minori”.

“Il superiore interesse del minore è posto al centro del sistema giudiziario penale– prosegue – e la direttiva fissa importanti punti fermi tra i quali, innanzitutto, la necessaria assistenza di un difensore, da me fortemente voluta e finora non sempre prevista dalle legislazioni interne, ma anche il diritto del minore alla valutazione individualizzata, la formazione specialistica sia dei magistrati che degli altri operatori coinvolti nel procedimento, e ancora il principio della detenzione separata rispetto ai maggiorenni. Credo che l’applicazione delle nuove regole contribuirà anche al reinserimento sociale dei minori che hanno problemi con la legge e alla prevenzione delle recidive. Si compie inoltre un importante passo verso l’armonizzazione normativa e verso l’ampliamento dello spazio europeo di giustizia, che favorirà il mutuo riconoscimento delle decisioni giurisdizionali tra i paesi membri dell’Unione”.

Caterina Chinnici ha illustrato i contenuti del provvedimento in una conferenza stampa congiunta con Vera Jourova, commissaria europea alla Giustizia, secondo la quale “i minori hanno bisogno della massima protezione possibile nell’ambito di un procedimento penale, anche affinché comprendano al meglio sia la legge che i propri diritti, e la direttiva prevede salvaguardie relative a tutte le fasi procedimentali”.

La principale novità contenuta nel testo sarà dunque il principio dell’obbligo di assistenza legale al minore indagato o imputato, chiarito con l’indicazione dei momenti e degli atti in cui l’intervento del difensore deve essere assicurato. Come corollario, la direttiva afferma anche il diritto al gratuito patrocinio. Poche le deroghe ammesse, e tutte peraltro bilanciate da contro-deroghe: per esempio, non è mai possibile decidere sulla libertà personale del minore in assenza dell’avvocato.

Il testo stabilisce inoltre che dovrà esserci uno specifico momento della procedura, in ogni caso prima dell’imputazione, in cui approfondire la specifica situazione del minore anche con l’ausilio di psicologi. L’esito di questa valutazione individualizzata andrà documentato e messo a disposizione dell’autorità procedente affinché possa avere informazioni sulla personalità del minore, sulla sua condizione familiare, sociale ed economica e su tutti gli altri elementi utili per capire, ad esempio, quale grado di consapevolezza del reato il minore abbia avuto, quale misura cautelare sia più opportuna, quali siano le prospettive di rieducazione.

Introdotto anche il principio della detenzione separata: gli infra-diciottenni non potranno stare in carcere insieme con i detenuti adulti e i paesi membri avranno facoltà di applicare questo criterio anche ai giovani che dovessero raggiungere la maggiore età durante la detenzione, in ogni caso configurata come extrema ratio. A tutti i minori ai quali sia stata applicata una qualunque restrizione della libertà personale dovranno essere inoltre assicurati l’assistenza medica necessaria e il diritto a incontrare prima possibile il titolare della responsabilità genitoriale. In generale, devono essere garantiti al minore il diritto a essere informato sui propri diritti e la possibilità di partecipare attivamente al procedimento con l’accompagnamento del genitore o di altro soggetto responsabile.

Altro elemento essenziale consiste nell’obbligo a carico degli Stati membri di garantire ai minori detenuti l’educazione e la formazione, il regolare esercizio delle relazioni familiari e l’accesso a programmi di sviluppo, il tutto nel pieno rispetto della libertà religiosa e di pensiero.

Ove le circostanze lo richiedano, è prevista anche la registrazione audiovisiva degli interrogatori, comunque da non rendere pubblica. Sempre a tutela della privacy del minore, le udienze devono di regola svolgersi a porte chiuse.

Per fare in modo che magistrati e altri operatori abbiano la specifica competenza necessaria, gli Stati membri devono garantire loro l’effettivo accesso a una formazione specialistica.

Infine, in tema di accertamento della minore età si prevede che, ove la verifica risultasse impossibile all’esito dei controlli documentali o medici, la minore età dovrà essere presunta a ogni effetto. Si tratta di una disposizione importante soprattutto per i minori non accompagnati, in particolare immigrati, spesso coinvolti in questo genere di situazioni.

La direttiva sulle garanzie procedurali per i minori indagati o sottoposti a processo penale fa parte della road map decisa dal Consiglio nel 2009 per estendere lo spazio europeo di giustizia e favorire il mutuo riconoscimento delle decisioni nel territorio dell’Unione.

http://www.radiowebitalia.it/85107/tempo-deuropa/caterina-chinnici-svolta-storica-nella-legislazione-ue-nasce-il-giusto-processo-penale-minorile-europeo.html

Dal 1° luglio in vigore nuove norme di procedura del Tribunale dell’UE

Lussemburgo, 19 luglio 2015. Il nuovo regolamento di procedura del Tribunale, frutto di un lavoro avviato nel 2012, sostituirà il regolamento di procedura del 1991. Nel corso del tempo, quest’ultimo è stato modificato in più occasioni al fine di adeguare e migliorare i dispositivi procedurali a seconda delle esigenze e degli sviluppi. Dal momento che tale approccio frammentario ha raggiunto i suoi limiti, si è resa necessaria una riforma completa, che ha aperto la strada a una ristrutturazione del testo originario e all’introduzione di nuove norme.

Le norme di procedura sono state adattate alla realtà del contenzioso attualmente sottoposto al Tribunale, effettuando una distinzione chiara tra le tre principali categorie di ricorso, ciascuna delle quali presenta caratteristiche proprie: i ricorsi diretti, nell’ambito dei quali gli incidenti processuali, le istanze di intervento e le domande di trattamento riservato sono particolarmente numerosi; i ricorsi nell’ambito della proprietà intellettualele impugnazioni proposte contro le decisioni del Tribunale della funzione pubblica.

Gli sforzi, già intrapresi da diversi anni al fine di migliorare l’efficienza del Tribunale, sono proseguiti nell’ambito procedurale al fine di rafforzare la capacità di trattamento delle cause, entro un termine ragionevole e nel rispetto dei criteri dell’equo processo, conformemente ai principi risultanti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. A tale proposito, meritano in particolare di essere menzionati:

  • l’estensione dell’ambito di applicazione delle disposizioni relative al giudice unico alle cause in materia di proprietà intellettuale;
  • la semplificazione, nelle cause in materia di proprietà intellettuale, delle norme relative alla determinazione della lingua processuale e allo svolgimento della fase scritta del procedimento (un unico giro di memorie);
  • la semplificazione del regime dell’intervento (non è più prevista l’ammissione a intervenire qualora la domanda sia depositata dopo la scadenza del termine legale di sei settimane successive alla pubblicazione, nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea GUUE, della comunicazione riguardante la presentazione del ricorso);
  • la facoltà, per il Tribunale, di statuire senza fase orale del procedimento nei ricorsi diretti, qualora nessuna delle parti principali abbia chiesto la tenuta di un’udienza di discussione;
  • la possibilità, per il Tribunale, di statuire senza fase orale del procedimento nelle impugnazioni, anche in presenza di una domanda presentata da una parte;
  • la chiarificazione dei diritti attribuiti agli intervenienti;
  • il trasferimento, a favore dei presidenti di sezione, di determinate competenze decisionali precedentemente conferite alla sezione e la semplificazione della forma di determinate decisioni, prevedendo nuovi casi nei quali non si statuisce più mediante ordinanza (ad esempio, la sospensione e la riunione);
  • l’indicazione secondo cui il Tribunale statuisce nel più breve termine possibile su un’eccezione di irricevibilità o d’incompetenza, su una domanda di non luogo a statuire o su qualsiasi altro incidente, nonché su una domanda di intervento o una contestazione di domanda di trattamento riservato.

Si è voluta garantire l’omogeneità dei dispositivi procedurali che disciplinano i contenziosi sottoposti ai giudici dell’Unione europea, tenendo conto, in particolare, del regolamento di procedura della Corte di giustizia entrato in vigore il 1° novembre 2012, e avendo cura al contempo di cogliere la specificità dei ricorsi diretti che contrappongono una persona fisica o giuridica o uno Stato membro a un’istituzione dell’Unione.

Il Tribunale disporrà di norme che gli consentiranno di adottare le modalità di organizzazione che esso reputi le più appropriate a seconda, in particolare, del numero di giudici che lo compongono e di norme volte a dare effetto utile al cambiamento statutario consistente nella creazione del posto di vicepresidente del Tribunale.

Sono state apportate soluzioni per quelle situazioni procedurali alle quali finora le norme di procedura non avevano dato risposta, in particolare: le condizioni alle quali una causa può essere oggetto di una riattribuzione, gli adeguamenti delle conclusioni dell’atto di ricorso nel corso del giudizio o il seguito da dare alla produzione di un documento in esecuzione di una misura istruttoria disposta dal Tribunale. Inoltre, è stato elaborato un nuovo, specifico dispositivo procedurale al fine di disciplinare il trattamento processuale delle informazioni o dei documenti riservati che interessano la sicurezza dell’Unione o dei suoi Stati membri o le loro relazioni internazionali, nonché le deroghe al principio del contraddittorio che possono discenderne. Tale regime, previsto all’articolo 105 del regolamento di procedura, sarà tuttavia operativo solo dopo la pubblicazione di una decisione del Tribunale che stabilirà i criteri di sicurezza ai fini della tutela di tali dati.

Taluni dispositivi, inoltre, sono stati razionalizzati: è stato abolito l’obbligo formale per l’avvocato che rappresenta una persona giuridica di diritto privato di dimostrare che il suo mandato era stato rilasciato da una persona a ciò legittimata; è stato abbandonata la posta elettronica come modalità di deposito degli atti processuali (al fine di evitare talune difficoltà regolarmente riscontrate e di favorire l’utilizzo dell’applicazione e-Curia). Infine, da un punto di vista formale, è stata migliorata la leggibilità del regolamento grazie alla definizione delle principali nozioni utilizzate, a una ristrutturazione globale e all’introduzione di un titolo per ciascun articolo.

In applicazione del regolamento di procedura, il Tribunale ha adottato vari atti che sono entrati anch’essi in vigore il 1° luglio. Dopo aver consultato gli Stati membri, il Consiglio, la Commissione, il Parlamento, l’UAMI e il CCBE, ha adottato le Norme pratiche di esecuzione del regolamento di procedura del Tribunale. Tali norme, che abrogano e sostituiscono le Istruzioni al cancelliere del 5 luglio 2007 e le Istruzioni pratiche alle parti dinanzi al Tribunale del 24 gennaio 2012, spiegano, precisano e integrano talune disposizioni del regolamento di procedura. Esse mirano, in particolare, a fornire ai rappresentanti delle parti indicazioni sulla presentazione e il deposito degli atti processuali e dei documenti nonché a consentire loro di tener conto di elementi che il Tribunale è tenuto a prendere in considerazione. Le prescrizioni relative all’accesso dei terzi al fascicolo, all’anonimato e all’omissione di dati nei confronti del pubblico, attualmente contenute nelle Istruzioni pratiche alle parti, non figurano nelle Norme pratiche di esecuzione ma sono state riversate nel nuovo regolamento di procedura. Del pari, l’importanza della limitazione della lunghezza delle memorie è stata rafforzata mediante l’inserimento, nel regolamento di procedura, della norma enunciata, finora, nelle Istruzioni pratiche alle parti. Le modalità di applicazione di tale norma e le conseguenze del persistere della sua violazione sono descritte nelle Norme pratiche di esecuzione.

È stato necessario modificare il formulario di ammissione al gratuito patrocinio,  previsto dal regolamento di procedura, al fine di integrarvi l’estensione dell’ambito di applicazione del gratuito patrocinio alle persone giuridiche. Inoltre, dal punto di vista formale, sono state poste in evidenza le informazioni destinate a facilitare la comprensione da parte di coloro che non sono rappresentati da un avvocato. Il nuovo formulario di ammissione al gratuito patrocinio, che sarà pubblicato nella GUUE e reso accessibile sul sito internet della Corte di giustizia dell’Unione europea, deve essere utilizzato a far data dal 1° luglio 2015.

Infine, i tre promemoria ai quali rinviano le Norme pratiche di esecuzione sono accessibili sul sito internet della Corte di giustizia dell’Unione europea. Tali documenti, destinati ad aiutare i rappresentanti delle parti, forniscono informazioni sul modo di presentare e di depositare un atto di ricorso in formato cartaceo o mediante l’applicazione e-Curia e sullo svolgimento dell’udienza di discussione.

 

 

Riforma del sistema giudiziario UE cruciale nell’interesse dei cittadini

Il contesto in cui si inserisce la proposta: l’aumento del contenzioso e la durata eccessiva. Da molti anni, il Tribunale di primo grado (introdotto nel 1988 ed entrato in funzione il 31 ottobre 1989) si trova in una situazione estremamente difficile legata al costante aumento del contenzioso: il numero delle cause proposte dinanzi a tale organo giurisdizionale è aumentato da 398 nel 2000 a 912 nel 2014. L’aumento esponenziale appare strutturale e rischia peraltro di continuare.

Per far fronte a tale situazione, sono già state adottate molte misure che hanno prodotto un considerevole aumento dell’efficienza e consentito notevoli prestazioni in termini di cause definite. Tuttavia, nonostante questi sforzi, per il Tribunale non è stato possibile moderare il ritmo d’incremento dell’arretrato di cause pendenti. Di conseguenza, allo stato attuale delle cose, il Tribunale non è in grado di far fronte, in modo duraturo ed efficace, al numero e alla complessità sempre maggiori del contenzioso che deve trattare.

A causa di tale squilibrio strutturale e crescente, la durata del trattamento delle cause complesse dinanzi al Tribunale, come il contenzioso economico, è diventata particolarmente lunga. E l’eccessiva durata di un procedimento può comportare la violazione del diritto di essere giudicati entro un termine ragionevole, sancito all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali, esponendo così l’Unione al rischio di essere condannata nell’ambito di ricorsi per risarcimento danni, le cui conseguenze finanziarie dovrebbero essere assunte dal bilancio dell’Unione. In un anno, infatti, sono già stati proposti dinanzi al Tribunale cinque ricorsi per risarcimento danni, nell’ambito dei quali l’importo totale dei danni reclamati ammonta a 26,8 milioni di euro.

La soluzione proposta dalla Corte. Già nel 2011, per affrontare questa sfida, la Corte ha formulato, in particolare, la proposta di portare da 27 a 39 il numero dei giudici del Tribunale. Questa proposta, che ha ricevuto parere favorevole della Commissione europea, l’approvazione in prima lettura del Parlamento europeo e l’accordo di massima del Consiglio, non ha però avuto esito favorevole perché è mancato l’accordo tra gli Stati membri sul modo di designazione dei giudici supplementari. Nel 2014, su invito della presidenza del Consiglio e alla luce del deterioramento della situazione rispetto al 2011, la Corte ha proceduto a migliorare la sua proposta che, attualizzata, mira a rafforzare l’efficienza complessiva del sistema giudiziario dell’Unione e ad apportare soluzioni strutturali e durature.

Tale proposta è il frutto di intense discussioni e scambi fra  i tre organi giurisdizionali che compongono l’Istituzione (Corte di giustizia, Tribunale e Tribunale della funzione pubblica – istituito nel 2004 ), nel corso dei quali il Tribunale ha espresso la sua preferenza per la creazione di un organo giurisdizionale specializzato e il TFP il suo sostegno alla soluzione proposta. Considerando che l’esperienza (in particolare l’aumento del numero dei referendari o la creazione di un organo giurisdizionale specializzato) dimostra che non esiste alcuna alternativa duratura, la Corte di giustizia, che rappresenta l’Istituzione, ha presentato la proposta che oggi è sottoposta al legislatore europeo.

In che cosa consiste la proposta della Corte? La Corte propone la creazione di 21 posti di giudice per rafforzare il Tribunale in tre tappe, secondo il seguente calendario:

− nel 2015: aumento di 12 giudici;

− nel 2016, in occasione del rinnovo del Tribunale, aggiunta di 7 giudici, tramite l’integrazione del Tribunale della funzione pubblica nel Tribunale, portando il numero dei giudici del Tribunale a 47;

− nel 2019, in occasione del seguente rinnovo del Tribunale, il numero dei giudici sarebbe aumentato di 9 unità, giungendo a un totale di 56 giudici.

Questo frazionamento in tre tappe si fonda su ragioni di ordine giurisdizionale (seguire lo sviluppo costante del contenzioso portato davanti al Tribunale) e ragioni di bilancio (spalmare su più esercizi le conseguenze di bilancio della riforma proposta). In tal modo, questa proposta non risponde solamente alle immediate esigenze del Tribunale, ma mira soprattutto a rafforzare l’efficienza del sistema giudiziario europeo nel suo insieme, in maniera duratura.

L’attuazione della proposta permetterà al Tribunale di porre fine alla crescita del numero delle cause pendenti e di cominciare a riassorbire il suo arretrato. La durata dei procedimenti dinanzi al Tribunale sarà di conseguenza ridotta e, pertanto, i rischi di condanna dell’Unione per violazione dell’obbligo di statuire entro un termine ragionevole diminuiranno.

Inoltre, l’architettura giurisdizionale dell’Unione sarà semplificata, la sua complessiva efficienza rafforzata e la coerenza della sua giurisprudenza agevolata, poiché un unico organo giurisdizionale, la Corte di giustizia, sarà incaricato di assicurare l’uniformità d’interpretazione delle norme giuridiche nell’ambito delle impugnazioni.

La Corte considera che il Tribunale guadagnerà anche in flessibilità nel trattamento del contenzioso: nell’interesse di una buona amministrazione della giustizia, esso potrà assegnare un maggiore o minor numero di giudici a una o più sezioni, a seconda dell’importanza e delle esigenze di ciascuna causa e dell’evoluzione del contenzioso. In questo modo, la riforma mira anche a consentire la salvaguardia e il costante miglioramento della qualità e della serenità della giustizia resa in nome dei cittadini europei.

Tenendo conto del costante aumento anche del contenzioso dinanzi alla Corte, il rafforzamento del Tribunale permetterà un eventuale trasferimento di talune competenze dalla Corte al Tribunale, che è l’unica soluzione prevista dai Trattati per far fronte a un congestionamento a livello della Corte.

Costo della proposta. Invitata dalle autorità di bilancio e legislative, la Corte ha acconsentito a una riduzione del 25% del costo totale della riforma che, per tutte le tre fasi, ammonta a 13,875 milioni di euro l’anno, il che rappresenta lo 0,01% circa del bilancio dell’Unione (135 miliardi di euro). Paragonato al costo della riforma proposta nel 2011, tale cifra rappresenta un aumento del 23%, mentre il carico di lavoro del Tribunale, nel corso dello stesso periodo, è aumentato del 43%.

In questo contesto, va sottolineato che, se non viene presa una decisione in tempi brevi, la situazione continuerà ad aggravarsi rapidamente, a discapito dei cittadini e del bilancio dell’Unione. Infatti, considerata l’importanza dei flussi finanziari coinvolti, i rischi per il buon funzionamento del mercato interno legati alla mancanza di una soluzione definitiva sono altissimi. L’ammontare delle ammende inflitte dalla Commissione e contestate dinanzi al Tribunale nonché quello dei recuperi disposti nelle cause sugli aiuti di Stato si calcola in miliardi di euro, che sono altrettante somme bloccate in attesa di una pronuncia giudiziaria e di cui il mercato interno viene privato.

 

 

Aspettando il primo corso di italiano della Promotion Keynes 2016-2017 al Collège d’Europe di Bruges, domenica prossima 25 settembre, e ricordando la Promotion Falcone & Borsellino 2014-2015.

Ricordando il Presidente Ciampi, Premio Carlo Magno, Aquisgrana, 5 maggio 2005. Un europeista con l’Italia nel cuore. Tempo d’Europa, allora su Sabaudiain.it, oggi Radiowebitalia.it