Premio Carlo Magno 2018: l’Europa di Emmanuel, il Presidente incantatore di folle

 

Aquisgrana, 11 maggio 2018. «Emmanuel, tu interpreti l’Europa, appassioni all’Europa. Incarni pazienza ed entusiasmo. Collaborando con te, ho sentito il fascino dell’Europa». Così la Cancelliera tedesca Angela Merkel,  nella sua laudatio per il conferimento del Premio internazionale Carlo Magno 2018 al Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron. «Attribuito al suo impegno per il rinnovo del progetto di una nuova sovranità europea e di una ristrutturazione della cooperazione tra i popoli e tra le nazioni. Combattivo, determinato, e contagioso come pochi», secondo la motivazione.

Contagioso sì. Senza inutili orpelli, e con autorevolezza.

Dalle lacrime di commozione dopo l’assegnazione del Premio, davanti alle autorità politiche di tutta Europa, al volto disteso e gioioso, qualche ora dopo, nell’incontro con gli studenti dell’RWTH University di Aquisgrana: una giornata ad ascoltarlo, incantata,  per ritrovare la profonda convinzione di Jean Monnet e di Altiero Spinelli nell’ineluttabilità dell’avventura europea di unione e democrazia.

«È vero, l’Europa ci ha dato il miracolo storico di 70 anni di pace, di libertà e di prosperità, un tesoro senza prezzo», ha esordito nella sua allocuzione il Presidente. «Ma io non credo al mito dell’Europa perfetta, poiché il nostro Continente è ancora attraversato dalle difficoltà  della storia. Potremmo rispondervi con la routine dell’amministrazione. Le nuove generazioni richiedono, al contrario, un rinnovo della speranza. L’Europa è il ritorno al sogno di Carlo Magno, di un’unità voluta, di una concordia conquistata, fondata sul superamento delle differenze, sul suo cuore che batte. Un sogno che oggi è attraversato dal dubbio: sta a noi decidere se farlo continuare a vivere o lasciarlo morire».

Quattro gli «imperativi categorici di impegno, di azione» proposti da Emmanuel, un francese impeccabile, un tono che ammette poche repliche.

Primo: «Ne soyons pas faibles et ne subissons pas». «Non dobbiamo essere deboli, non dobbiamo subire. Abbiamo davanti a noi ogni giorno grandi minacce, grandi squilibri, che sconvolgono i nostri popoli e nutrono le loro inquietudini. Vogliano subire le regole degli altri, la tirannia degli eventi o scegliere per noi? Chi deciderà per i nostri concittadini le regole che proteggono la loro vita privata, che garantiscono l’equilibrio del sistema economico delle nostre imprese, la sicurezza delle nostre frontiere, l’armonizzazione del nostro sistema giuridico? E le scelte climatiche? E sull’immigrazione? Chi dovrà decidere delle norme commerciali e fiscali? Dell’ambiente di pace e stabilità nel quale vogliamo vivere? Dell’autonomia profonda e dunque della sovranità europea? Le potenze esterne, alleati e amici compresi, o noi? Vogliamo lasciare che scelgano per noi? Che votino per noi? O siamo decisi a non cedere alla politica del peggio, a non rimanere con le braccia incrociate? A essere sovrani? La risposta è la nostra, è europea».

Secondo: «Ne nous divisons pas». «Restiamo uniti. La tentazione di ripiegarsi su di sé, del nazionalismo, è grande in questo periodo complesso. Abbiamo avuto il campanello d’allarme con Brexit. Dalle elezioni in Italia all’Ungheria, alla Polonia, suona la musica del nazionalismo, la sua fascinazione. Il rischio della divisione estrema è forte, si diffonde come una lebbra nella nostra Unione, negli animi, ma ci porterebbe a ridurre, non a conquistare sovranità. Le divisioni spingono all’inazione, alla guerra di posizione, alla perdita di quelle libertà conquistate a costo di mille sofferenze. Le crisi economica e migratoria degli ultimi dieci anni hanno provocato forti differenze tra nord e sud, tra est e ovest, inducendoci a credere che l’unità non sia più possibile. Non ascoltiamo le sirene della separazione tra noi, che ci dicono che la Germania è egoista, “vecchia”, che non vuole fare le riforme. E che la Francia si augura un’Europa solo per sé. L’Europa non può basarsi sull’egemonia di un solo Paese rispetto agli altri ma sulla solidarietà costante. Solidarietà tra noi sull’emigrazione, sull’occupazione, basata su di un bilancio europeo proprio per difendere una convergenza economica, sociale e fiscale, una zona euro più forte e più integrata».

Terzo: «N’ayons pas peur». «Non dobbiamo avere paura dei nostri principi e di quello che siamo, e non dobbiamo tradirli. Oggi siamo confrontati a collera, incertezza, che ci inducono ad abbandonare il fondamento dello stato di diritto. Non rinunciamoci, come è accaduto in passato. Lottiamo per il dibattito democratico,  per la civiltà dell’Europa, che rifiuta la violenza di stato e della strada, e crede alla forza del confronto di idee. Io credo nella volontà dell’intelligenza e del bello. Battiamoci per un’accademia europea della cultura, per la traduzione, per la circolazione delle opere d’arte, per la gioventù, per il dialogo universale, per la breccia aperta nelle nostre anime più di settanta anni fa: la nostra lotta più importante, oggi più di ieri. Il mondo vede la nostra capacità a non avere paura, a portare il nostro modello di vita. Cara Angela, superiamo i nostri limiti, i nostri tabù, le nostre abitudini, pronti a modificare i Trattati dove serve, a realizzare riforme profonde per abbassare la spesa pubblica: questo forgia un’Europa più forte. Non abbiamo paura l’uno dell’altro. Non abbiamo paura  di batterci per qualcosa più grande di noi, non abbiamo paura di sconvolgere la nostra vita».

Quarto: «N’attendons pas: c’est maintenant». «Non aspettiamo, questo è il tempo giusto per agire. Facciamo la scelta dell’Europa, una scelta ambiziosa. Le regole di accesso siano chiare. Le porte siano aperte. Ma non attendiamo che tutti siano sempre d’accordo su tutto. Non credo che l’Europa sia quella del solo denominatore comune, del minimo rischio, del piccolo passo all’ultimo minuto. No. Bisogna ridare una visione ambiziosa ai cittadini. Perché i nazionalisti sono chiari. Perché i demagoghi sono chiari. Perché le paure sono chiare. Assumiamoci il rischio di essere all’altezza della storia. L’Europa è un’utopia, ma voi siete qui. Dunque questa utopia esiste».

Inevitabile, sincera, e lunga, la standing ovation dell’affollata Sala dell’Incoronazione del Municipio di Aachen. Che si replica nell’auditorium dell’Università, colmo anch’esso quando Macron arriva.

«Je suis à vous!».

Gli studenti sono affascinati, lo sentono uno di loro, lo gratificano rivolgendoglisi quasi prevalentemente in francese. Il Presidente li esorta alle domande. E non si sottrae ai selfie.

«Quando si dà la mano al caso non si concludono buone cose», esordisce per puntualizzare la propria convinzione alla necessità di formare e formarsi, di fare programmi ben congegnati. Come quello di una «università europea», unitaria ma con poli nazionali, a Roma e a Bratislava, a Berlino e a Strasburgo, dove le opportunità per gli studenti siano le stesse, e la mobilità sia facilitata.

E poi la convergenza di tutti i Paesi dell’Unione verso gli stessi obiettivi, quelli dei padri fondatori: «solidarietà», prima di tutto. E, oggi più che mai, in prospettiva di un ampliamento a oltre trenta Stati membri, «dinamica positiva»: chi vuole procedere non può essere limitato dagli altri, verso i quali va portato avanti un «dialogo esigente», fatto di porte aperte e di ritmi diversi, se necessario.

E ancora, la pluralità delle lingue. Nell’Unione europea non c’è nessuno che dirige, non c’è un’egemonia. Così nell’ambito linguistico.

«L’egemonia dell’inglese è un paradosso al momento di Brexit». Il tono è fermo, con una punta di ironia, quando Emmanuel pronuncia queste parole.  «L’Europa, pur unita, non avrà mai un’unica lingua. La sua forza è la traduzione. E per l’intraducibile c’è la varietà e la ricchezza delle singole lingue».

Infine, la «sovranità nazionale», che ha bisogno della «sovranità europea»: la «cittadinanza europea» completa e dà forza a quella nazionale, l’una non può sostituirsi all’altra.

«Non lasciamo la sovranità ai nazionalisti», esorta il giovane Presidente prima di lasciarsi “abbracciare” dall’affettuosa marea di ragazzi. «Per voi, per noi, sogno un’Europa dove i nazionalisti non siano “en marche”».

Perché un «Lessico pratico di italiano giuridico per stranieri»?

Lessico
Da domani in libreria!

Bruxelles, 29 aprile 2018. Quando, nel 2007, tenni il mio primo corso di italiano giuridico all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, l’esigenza che emerse nell’immediato tra i partecipanti – stranieri di sei diverse nazionalità – fu quella di un testo di riferimento, dove poter approfondire o ritrovare i termini, i concetti e gli istituti analizzati in aula.

Pensai di sopperire all’inizio con schede esplicative, che accompagnavano il materiale autentico su cui baso puntualmente ogni mio corso. Per poi giungere, alla fine di ogni anno accademico, a creare vere e proprie dispense che assemblavano organicamente i documenti sui soggetti trattati e servivano da «libri di testo» per gli anni successivi. Non so se si può immaginare la soddisfazione provata, un giorno, quando Lucia Ventura, un’interprete di conferenza  italiana assidua frequentatrice dei miei seminari, mi disse: «Lo sai che vado in cabina con le tue dispense?».

Dall’altro lato, la sempre maggiore richiesta – nel contesto dell’Unione europea – dell’insegnamento dell’italiano specialistico e settoriale, da utilizzare anche come lingua di lavoro. La costante testimonianza di colleghi che, nei livelli più avanzati, soprattutto con i professionisti, si trovavano in difficoltà – e non c’è da meravigliarsi – con una terminologia che presuppone una formazione prettamente giuridica e non dà nulla per scontato. E l’auspicio, a più voci, di pubblicazione delle dispense, mi ha motivato ancor più ad affrontare questo non semplice lavoro.

Il principale scoglio da superare è stato deciderne la struttura: corredare ogni argomento con gli articoli di stampa – anche specialistica – sottoposti agli allievi sarebbe stato bello. Ma poco pratico da realizzare per diversi motivi. E poi, pensando a Lucia che si portava in cabina le scomode dispense formato A4, mi sono detta che avrei dovuto realizzare un testo maneggevole e di facile consultazione, sia per i partecipanti ai corsi e seminari che per un professionista al lavoro o per un collega in aula.

Ed ecco il «Lessico pratico» che da domani sarà in libreria – su www.curciostore.com per l’Italia,  Amazon e altri siti per l’estero – edito da Istituto Armando Curcio University Press, Collana Didattica e Ricerca, diretta dalla dottoressa Sabrina Aulitto.

Con la bellissima prefazione dell’avvocato Francesco Maria Salerno, direttore della sede di Bruxelles dello Sudio Gianni-Origoni-Grippo-Cappelli & Partners.

E dedicato al professor Angelo Raffaele Latagliata, nel 1987 ordinario della cattedra di Diritto penale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università «La Sapienza» di Roma (e membro della Commissione ministeriale Pagliaro per un progetto di riforma del Codice penale nel 1988), che avrebbe dovuto essere relatore della mia tesi di laurea se non fosse prematuramente scomparso nel 1990.

Pratico perché vuole essere uno strumento di lavoro utile nel concreto. In cabina, in aula o in studio.

Di certo, il suo contenuto non è esaustivo. Vi sono richiamati i termini, i concetti e gli istituti che emergono di regola durante i corsi; corrispondono alle domande a cui rispondo dal 2007 – pur nelle trasformazioni della prolifica legislazione italiana – ai numerosi studenti che si pregiano di seguirmi in questo percorso. Ho cercato di spiegare contenuti giuridici con una terminologia comprensibile anche a chi, italiano o straniero, giurista non è.

Con l’obiettivo di trasmettere tutta la passione che provo per l’italiano del diritto fin da quel 5 novembre 1985 quando, entrando nell’aula magna di Giurisprudenza,  sentii ripetere, più volte durante le prime ore di lezione, e rimanendone affascinata: «Ubi est societas ibi est ius. Ubi est ius ibi est societas» (Là dove è un corpo sociale organizzato, lì vi è diritto. Dove è diritto, là vi è un corpo sociale organizzato).

Spero di esservi riuscita.

 

Euronline, i ragazzi del “G.Cesare” di Sabaudia incontrano l’Europa

 

Sabaudia (Lt), 23 dicembre 2017. Quando Annalisa Siniscalchi, amica da anni e professoressa di inglese all’Istituto onnicomprensivo “Giulio Cesare” di Sabaudia, mi ha lanciato la proposta di partecipare a “Euronline” per parlare con gli studenti di Unione europea, non me lo sono fatto ripetere due volte. Ritornare nella scuola dove felicemente ho frequentato le “medie” – era il secolo scorso – e ritrovarla più bella e più viva di allora, con allievi dinamici e sorridenti, è stato un piacere speciale. Per non parlare dell’accoglienza della dirigente Miriana Zannella e dei docenti. E l’attiva partecipazione della delegata alle politiche formative del Comune di Sabaudia, l’avvocato Emanuela Palmisani. Tutti di fronte a una platea di ragazzi preparatissimi – le classi seconde e terze – che, rotto il ghiaccio, si sono spesso contesi il microfono per poter esprimere in libertà i propri pensieri alla mia domanda: «Cosa vi viene in mente se dico “Europa”?». Uno scambio serrato ed energetico di due ore, seguito da una serie di reportage, raccolti dalla prof Siniscalchi, di cui è stato difficile selezionare alcuni stralci.

Perché l’Europa è la loro, dei ragazzi. Ed è loro che devono avere la parola.

«Durante l’incontro a carattere interdisciplinare con la dott.ssa Maria Cristina Coccoluto, docente di italiano giuridico agli stranieri presso il Collège d’Europe a Bruges, città distante 100 km da Bruxelles» scrive nel suo reportage Anita Repele, 12 anni, IIA «si è fatto riferimento a nozioni storiche, come le celebrazioni, l’aprile scorso, dei sessanta anni dal Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea, firmato proprio a Roma. Una notizia che non conoscevamo, e che ci rende fieri di essere sabaudiani, è l’aver scoperto che sul lago di Paola si trova la villa di Altiero Spinelli, politico, scrittore nonché padre fondatore dell’UE. Oltre a parlare dell’Unione di oggi si è fatto riferimento anche a illustri personaggi del passato, come Alcide De Gasperi. Particolare curioso è stato il fatto che la prof Coccoluto e la dott.ssa Palmisani si siano conosciute a Bruxelles durante la visita dei delegati del Comune di Sabaudia e che si siano rincontrate in questa occasione per parlare di Europa. Un cerchio che si chiude: Sabaudia, l’Europa e NOI!».

Jolie Santipo, 12 anni, IIB, ha trovato «molto interessante l’incontro perché ci ha dato la possibilità di sapere qualcosa in più sull’UE e sulle possibilità che offre a noi giovani in ambito lavorativo per chi voglia entrare a far parte dell’universo europeo».

Secondo Lorenzo Vitti, 13 anni, IIIA, «la relatrice ha risposto alle nostre curiosità anche in merito all’istruzione degli italiani all’estero. Ritengo che queste iniziative consentano di proiettarsi in nuovi orizzonti» e, scrive Clarissa Falagario, 13 anni, IIIA, «arricchire la nostra conoscenza suscitando l’interesse in modo coinvolgente».

Per Maria Romani, 12 anni, IIIA, «è stata una lezione molto bella, diversa dal solito, fuori dagli schemi, non mi aspettavo che fosse così interessante. Un plauso per l’iniziativa va alla prof Siniscalchi». «Ed è stato anche divertente poiché la dottoressa mi è sembrata una persona molto colta», puntualizza Francesca Rossato, 13 anni, IIIA.

Se, come dice Riccardo Cerasoli, 13 anni, IIIA, «conoscere tali informazioni sviluppa la volontà di cercare stimoli alternativi e non fermarsi al primo ostacolo» e che «la prof Coccoluto, con la sua competenza e il fare spigliato e coinvolgente, ci ha spronato a essere determinati e a lottare per realizzare i nostri sogni», direi che l’obiettivo è stato centrato.

Certo, a Elena Ricci, 12 anni, IIB, l’iniziativa è sembrata «un ottimo modo per fare scuola». Ma quello che piace a Giulia Riccio, 12 anni, IIA, è che «l’evento si stia diffondendo sul web, e per la nostra scuola è una buona pubblicità».  

L’Europa degli uomini e dei popoli di Altiero Spinelli e Jean Monnet è l’Europa dei giovani 4.0, il nostro presente e il nostro futuro.

Giuliano Amato: «Difendere i nostri valori europei, ecco una missione esaltante»

Bruxelles, 28 novembre 2017. Quando, nella primavera del 2002, entrai per la prima volta nella sala stampa del Parlamento europeo a Bruxelles, mi trovai in un’atmosfera travolgente. Colleghi di tutte le nazionalità e dalle mille lingue – anche se il francese prevaleva – correvano a destra e sinistra per fare interviste, realizzare stand-up, scrivere pezzi, lanciare agenzie.

Il presidente dell’Assemblea, il giornalista irlandese Pat Cox, liberale (innamorato dell’Italia e dell’allora presidente della Repubblica  Carlo Azeglio Ciampi, su cui spesso, negli anni a venire, si fermerà a parlare con me) era del mestiere e non lesinava la sua presenza.

Ma tutti gli occhi e le telecamere – e le penne – erano rivolte a loro, a Valéry Giscard D’Estaing (già presidente della Repubblica francese), all’ex primo ministro belga Jean-Luc Dehaene e all’ex primo ministro italiano Giuliano Amato, rispettivamente presidente e vicepresidenti della Convenzione sul futuro dell’Europa, istituita dal Consiglio europeo di Laeken del dicembre 2001 per dibattere su di un progetto che avrebbe dovuto portare a una Costituzione per i cittadini europei.

I cronisti scalpitavano affollando la sala che è oggi intitolata alla giornalista russa Anna Politkovskaja. Volevano sapere se la stesura della Progetto procedeva, ne chiedevano spiegazioni nei particolari, domandavano quali fossero i tempi di realizzazione. Jean-Luc Dehaene cercava di tenerli a bada con la sua simpatia. Giuliano Amato con il suo piglio di prof: «Essere impazienti significa essere impotenti». E i colleghi si acquietavano di fronte a quel tono cortese, ma che non ammetteva repliche.

Autorevolezza.

Il Progetto di Costituzione europea era stato approvato nel giugno 2004 dalla Conferenza intergovernativa. Poi c’era stata la firma a Roma del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, il 29 ottobre, altra grande emozione europea, in Campidoglio, nella sala degli Orazi e Curiazi. In una splendida giornata di sole – benedetta dai giornalisti stranieri (ma anche da noi italiani) accolti in una sala stampa creata per loro ai Fori imperiali – che non faceva certo presagire l’esito negativo dei referendum sul Trattato in Francia e nei Paesi Bassi.

Ma «la Costituzione europea non è fallita». Lo ha detto proprio Giuliano Amato, oggi giudice della Corte costituzionale, intervenendo al PE di Bruxelles – ospite dell’eurodeputata Mercedes Bresso – nell’ambito della conferenza “Verso una fase costituzionale? Scenari alternativi per una riforma del Trattato UE”, durante la quale è stato presentato anche il “Manifesto di Roma” di Villa Vigoni, centro italotedesco per l’eccellenza europea.

«Ogni tanto ci si rivede…», ha esordito Giuliano Amato incrociandomi proprio all’ingresso della sala e riconoscendomi.

«Presidente, è dai tempi della Convenzione…», gli preciso io.

«Sono solo 13 anni fa», ricorda velocemente.

«Ma io la seguo anche alla Consulta…».

«Ben fatto», risponde prendendo posto.                                 

«La Costituzione, femmina, ha fatto confluire la sua femminilità nel Trattato di Lisbona, maschio. Dunque non è fallita». Il tono è quello autorevole di allora. La stessa ampiezza di visione, la medesima arguzia. Si rivolge ai giovani, tra i 25 e i 35 anni, che hanno stilato il Manifesto, con la fermezza con cui si rivolgeva ai giornalisti. Di certo non per raffreddare il loro fervido spirito europeista, ma per indirizzarlo, dargli forma.

«Non si può pensare di lavorare oggi sull’intera struttura dell’Unione, come hanno fatto i padri fondatori e come abbiamo cercato di fare noi nella Convenzione. Questa è l’epoca dei piccoli passi, degli interventi settore per settore, bisogna puntare ai singoli miglioramenti. Per ripristinare la fiducia dei cittadini e la solidarietà reciproca degli Stati membri. Poi, ultimo gradino, la federalizzazione».

E viene fuori anche il giudice costituzionale quando precisa che vede difficilmente praticabile la strada della totale prevalenza del diritto dell’Unione su quello nazionale: «solo nelle materie di competenza e nei limiti dei principi fondamentali delle Carte».

Ma l’Europa è una nostra costruzione, la stiamo creando noi cittadini passo passo. Sui nostri valori, speciali, unici. Il presidente Amato non ha dubbi: É «alla difesa dei nostri valori» che dobbiamo dedicarci prima di tutto: «questa è una missione esaltante».

 

2° corso di italiano giuridico allo SCIC: il buon anno si vede dal mattino

 

Bruxelles, 2 febbraio 2017.  Il tempo di rientrare a Bruxelles (dopo le vacanze di Natale), e dodici interpreti di diverse nazionalità dell’Unione europea, funzionari dello SCIC, il Servizio di interpretazione e conferenze della Commissione, mi aspettavano per un corso intensivo di italiano giuridico di venti ore, da tenere in quattro giorni (dal 10 al 13 gennaio), presso la European Commission Library.

Si è trattato di un corso per così dire introduttivo, destinato a interpreti che non avevano mai assistito a una formazione di questo genere in italiano. Un primo livello, in un certo senso, come quello del mese di agosto scorso, a cui seguirà prossimamente – a grande richiesta – un secondo livello di approfondimento.

Chi meglio del Roberto nazionale (Benigni), nell’aula del Senato il 4 maggio 2015, poteva condurre all’illustrazione dell’ordinamento costituzionale, con la storia di un Paese unito nel Regno d’Italia solo dal 17 marzo 1861, e Repubblica solo dal 2 giugno 1946. Il tutto inserito nello scenario post referendario della mancata riforma costituzionale, con il ruolo determinante dello Stato pontificio, oggi Città dal Vaticano, artefice dell’italico destino per più di 1100 anni. E coronato dalla visione di foto di Roma istituzionale, in particolare del Quirinale, e brani tratti dalla fiction TV “De Gasperi, l’uomo della speranza”.

Dall’introduzione sulle tipologie di diritto e sulle fonti giuridiche all’analisi dell’Italicum il passo è stato breve: come verrà modificata la legge elettorale in vigore dal luglio 2016? Dopo la pronuncia della Consulta il 24 gennaio e in attesa delle motivazioni, il mondo della politica si confronta nella prospettiva della fine della 17^ legislatura e la chiamata alle urne.

La visione di uno stralcio della 1^ relazione al Parlamento di Raffaele Cantone, presidente dell’ANAC, l’Autorità Nazionale Anti Corruzione, nel luglio 2015, ci ha fatto conoscere in sintesi i tratti della riforma della PA, mentre l’introduzione sul complesso mondo dei sindacati in Italia ci ha condotto all’intervista a Matteo Renzi (maggio 2015) che spiega il Jobs Act, la riforma del mercato del lavoro, con la spinosa questione dei “voucher” e la sentenza della Corte costituzionale sull’ammissibilità o meno dei referendum abrogativi.

La vicenda di Enzo Tortora – uno dei casi più clamorosi di errore giudiziario – per introdurre l’iter dalla legge Vassalli alle nuove disposizioni sulla responsabilità civile dei magistrati (L. 27 febbraio 2015 n. 18).

Una breve introduzione sull’ordinamento giudiziario italiano, con un brano dal film “Testimone inconsapevole”, basato sul romanzo omonimo di Gianrico Carofiglio, per soffermarsi, in maniera schematica, sul processo civile di cognizione, sommario e ordinario, sulla riforma della giustizia civile con la negoziazione assistita e il processo telematico, e sul processo penale, con numerosi, e ben noti, casi di cronaca.

Un percorso a ritmo serrato nel linguaggio giuridico italiano, che non ha risparmiato i riferimenti storici e i collegamenti all’attualità. Con l’attiva partecipazione degli interpreti che, con domande e interventi tra i più vari, hanno messo a confronto gli ordinamenti di diversi Stati membri dell’Unione europea. Niente male in prossimità del 60° anniversario dei Trattati di Roma (25 marzo 1957).

E se il buon anno si vede dal mattino…

 

 

2016, un anno di italiano giuridico. E non finisce qui

Bruxelles, 19 dicembre 2016. Si sono appena conclusi i primi tre seminari di italiano giuridico e politico della Promotion Keynes al Collège d’Europe di Bruges.

Pausa vacanze anche per il corso di italiano economico-giuridico di Marine, funzionaria francese di una grande società belga, che lavora sul mercato del Belpaese.

Un anno intenso, questo, cominciato il 26 febbraio alla Corte di giustizia di Lussemburgo, proseguito alla Camera di commercio belgoitaliana, al Collège d’Europe nella Promotion Chopin, all’AIIC Belgio (Associazione internazionale interpreti di conferenza), al Parlamento europeo (aprile e settembre), all’Istituto Italiano di Cultura, allo SCIC (Servizio di interpretazione e conferenze della Commissione europea).

Un anno straordinario, nove seminari in presenza, tre in videoconferenza, corsi, estensivi e intensivi.

L’italiano giuridico protagonista delle sale delle Istituzioni europee, al centro dell’interesse professionale di interpreti, giuristi, linguisti e funzionari stranieri, insieme – e imprescindibilmente – alla storia e alla cultura del Paese.

Mesi di letture, selezione di articoli e di contributi video.

Approfondimento della materia di base, analisi delle riforme – molte delle quali ancora in itinere – preparazione dei fascicoli/materiali di lavoro.

Ricerca di equilibrio tra i tempi a disposizione e la ricchezza di informazioni da fornire. Tra spiegazione di concetti giuridici e chiarezza di linguaggio.

E poi, in aula, il proficuo confronto tra sistemi e ordinamenti di altri Paesi, dell’UE e oltre, a integrare, ampliare, approfondire, a conoscerne reciprocamente le caratteristiche peculiari, e a far dire: “Bella la nostra Europa!”.

Un anno impegnativo. Ma esaltante.

Faticoso. Ma arricchente.

E non finisce qui.

Il 2017 si aprirà con il 2° corso intensivo allo SCIC – a soli tre mesi di distanza dal primo! – destinato agli interpreti di Commissione europea e Consiglio dell’Unione.

Per poi proseguire con altri tre seminari al Collège d’Europe.

Il corso di italiano giuridico e politico, a febbraio, all’Istituto Italiano di Cultura, dove tutto è cominciato, nel gennaio 2007.

In cantiere altri seminari in videoconferenza alla Corte e altri ancora in presenza in giro per importanti capitali europee (e non anticipo altro!).

Per un nuovo affascinante coinvolgente anno di… italiano giuridico.

Ubi est societas, ibi est ius. Ubi est ius, ibi est societas

di Maria Cristina Coccoluto

Entrando nell’aula magna della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza”, a Roma, nel lontano novembre 1985, il concetto che sentii ripetere più volte, in quel primo giorno di lezione, dai professori di Istituzioni di diritto privato e Filosofia del diritto, fu proprio questo.

«Là dove è un corpo sociale organizzato, lì vi è diritto. Dove è diritto, là vi è un corpo sociale organizzato».

Una massima semplice ma essenziale, che mi ha introdotto nel complesso – seppur affascinante – mondo della legge, base del nostro viver civile. E con la quale oggi, a mia volta, introduco puntualmente i miei corsi e seminari di italiano giuridico.

Come l’ultimo in ordine di tempo, lo scorso 29 agosto, al Centro Albert Borschette di Bruxelles, destinato allo SCIC, Servizio di Interpretazione e Conferenze della Commissione europea. Sedici interpreti di diverse nazionalità mi hanno seguito – per ben quattro ore al giorno per cinque giorni – in un percorso storico, giuridico e sociale dalle origini del Regno d’Italia fino all’attuale ordinamento costituzionale della Repubblica, con un primo sguardo (da approfondire nel prossimo futuro) sulle riforme degli ultimi due anni.

Tutti affascinati dalla figura di Alcide De Gasperi, padre della Patria, protagonista indiscusso della storia d’Europa. E dall’italiano del diritto, patrimonio del Belpaese e dell’Unione europea.