La Corte di Giustizia UE su differenze di trattamento tra giudici di pace e magistrati ordinari italiani

 

Roma, 16 luglio 2020. Nell’ambito dei miei corsi e seminari sul processo civile e penale in Italia, mi sono spesso soffermata – dato l’interesse generale – sul ruolo sempre più preponderante della figura del Giudice di Pace nell’ordinamento giudiziario nazionale.

Amo anche ricordare che l’ufficio è stato istituito con la legge 21 novembre 1991 n. 374, in sostituzione del giudice conciliatore, e racconto puntualmente un aneddoto: mi ero appena laureata, nel gennaio 1992, e insieme alla mia amica, compagna di università a La Sapienza, Sonia Adami, ci recammo al Tribunale di Latina per prendere informazioni dirette proprio su questa nuova creatura, noi che avevamo già vissuto – da studentesse, non senza difficoltà – la grande riforma del processo penale del 1988.

In Italia, l’ufficio del Giudice di Pace è ricoperto da un magistrato onorario – in genere un avvocato – nominato per un determinato periodo di tempo.

Nell’esercizio delle loro funzioni, i giudici di pace fanno parte dell’ordine giudiziario, anche se possono continuare a svolgere la professione di avvocato, purché non nel circondario nel cui ambito ha sede l’ufficio al quale sono stati assegnati.

Lo Stato corrisponde a questi magistrati onorari, con cadenza mensile, indennità fisse, a titolo di rimborso spese, e indennità variabili, parametrate al numero di udienze tenute e al numero di cause definite nel mese. Nei periodi in cui non lavorano, come quello delle ferie giudiziarie, i giudici di pace non ricevono alcun compenso.

I giudici ordinari (magistrati «togati)», invece, anch’essi facenti parte dell’ordine giudiziario, sono assunti a tempo indeterminato dopo il superamento di un concorso pubblico, non possono esercitare alcuna altra professione, sono retribuiti con uno stipendio fisso e hanno diritto a 30 giorni di ferie annuali retribuite.

Nel 2018, la Signora UX, giudice di pace, ha chiesto al Giudice di Pace di Bologna l’emissione di un decreto ingiuntivo contro lo Stato italiano per il pagamento di 4500 euro a titolo di retribuzione delle ferie di quell’anno. Tale somma corrisponde alla retribuzione di un magistrato togato con anzianità di servizio di 14 anni, quanti sono gli anni in cui la Signora UX ha svolto l’incarico di giudice di pace.

Il pagamento è stato richiesto a titolo di risarcimento del danno subito per la violazione, da parte dello Stato italiano, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, della direttiva 2003/88/CE su taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, nonché dell’articolo 31 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea (diritto alle ferie annuali retribuite).

Il Giudice di Pace di Bologna ha chiesto quindi alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sede a Lussemburgo, di fornire un’interpretazione delle suddette norme dell’Unione.

Con la sentenza nella causa C-658/18 UX (IT) di oggi, 16 luglio 2020, la Corte premette che il Giudice di Pace è un organo giurisdizionale nazionale che, come tale, può proporre una domanda pregiudiziale.

Un giudice di pace – secondo la Corte – potrebbe rientrare nella nozione di «lavoratore a tempo determinato» se nominato per un periodo limitato e svolgente, nell’ambito delle sue funzioni, prestazioni reali ed effettive, non puramente marginali né accessorie, per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo (circostanze che il giudice nazionale dovrà verificare).

La Corte osserva, inoltre, che una differenza di trattamento dei giudici di pace rispetto ai giudici ordinari, ai fini delle ferie retribuite, può essere giustificata da differenze obiettive tra le due categorie. Le controversie loro assegnate, ad esempio, non hanno la complessità che caratterizza quelle attribuite ai giudici ordinari, e i giudici di pace possono operare solo come organi monocratici e non all’interno di un collegio giudicante.

Inoltre, l’importanza riconosciuta dalla Costituzione italiana al concorso per l’ingresso nella magistratura ordinaria appare indicativo di una natura particolare dei compiti e delle responsabilità dei magistrati togati nonché dell’elevato livello della qualificazione professionale richiesta per la realizzazione di tali compiti e per l’assunzione di dette responsabilità.

Alla luce di tali considerazioni, il giudice nazionale dovrà stabilire, in concreto, avuto riguardo a tutte le circostanze di fatto rilevanti, se un giudice di pace si trovi in ​​una situazione paragonabile a quella di un magistrato ordinario, tale, quindi, da poter beneficiare del periodo di ferie annuali retribuito.

La Corte osserva, comunque, che (in linea di massima e fatta sempre salva la valutazione in concreto del giudice nazionale), le differenze di trattamento esistenti tra giudici di pace e giudici ordinari, compresa quella in materia di ferie annuali retribuite, potrebbero apparire adeguate e proporzionate rispetto all’obiettivo di differenziare diverse modalità di esercizio della funzione giudicante.

Per approfondimenti sull’Ufficio del Giudice di Pace: «Lessico pratico di italiano giuridico per stranieri», 2018, Roma, Istituto Armando Curcio University Press.

 

ALP2019, costruire la professione sulle passioni

Costruire la professione sulle proprie passioni. Con tanto impegnoformazione dedizione. E personalità. Senza farsi scoraggiare dai “maschi” scandalizzati: «Una femmina che legge la Gazzetta dello sport…!!!». L’ho raccontato ad «ALP2019 Accordare le parole».

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ALP2019

La passione della parola

Il Lessico pratico di italiano giuridico per stranieri al Parlamento europeo

Lessico_ParlamentoEuropeo
L’italiano lingua di lavoro in un’ottica europea – Parlamento europeo, Bruxelles

Bruxelles, 13 novembre 2018. Quando, nella primavera del 2002, varcai per la prima volta la soglia del Parlamento europeo a Bruxelles (conoscevo già da tempo  le sedi di Strasburgo e di Lussemburgo), non avrei certo immaginato che – sedici anni dopo – un mio lavoro avrebbe trovato una tanto prestigiosa collocazione  nell’alta Assemblea dell’Unione.

Il «Lessico pratico di italiano giuridico per stranieri» – edito da Istituto Armando Curcio University Press, Collana Didattica e Ricerca, diretta dalla dottoressa Sabrina Aulitto – verrà  infatti presentato il prossimo martedì 20 novembre, nell’ambito dell’evento dal titolo «L’italiano lingua di lavoro in un’ottica europea», alle ore 18.00, nella (bella) sala P1C047 del Parlamento.

L’incontro è ospitato dall’eurodeputata Isabella De Monte e organizzato in collaborazione con l’associazione degli alumni dell’Università «La Sapienza» di Roma, NoiSapienza Bruxelles – presieduta dall’avvocato Flavia Silvestroni – di cui faccio fieramente parte.

E non è un caso che il libro sia dedicato al professor Angelo Raffaele Latagliata, nel 1987 ordinario della cattedra di Diritto penale alla facoltà di Giurisprudenza dello storico Ateneo (e membro della Commissione ministeriale Pagliaro per un progetto di riforma del Codice penale nel 1988), che avrebbe dovuto essere relatore della mia tesi di laurea se non fosse prematuramente scomparso nel 1990. Il Prof più sorridente della Sapienza.

Tenendo, nel 2007, il mio primo corso di italiano giuridico all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, l’esigenza che emerse nell’immediato tra i partecipanti – stranieri di sei diverse nazionalità – fu quella di un testo di riferimento, dove poter approfondire o ritrovare i termini, i concetti e gli istituti analizzati in aula.

Pensai di sopperire all’inizio con schede esplicative, che accompagnavano il materiale autentico su cui baso puntualmente ogni mio corso. Per poi giungere, alla fine di ogni anno accademico, a creare vere e proprie dispense che assemblavano organicamente i documenti sui soggetti trattati e servivano da «libri di testo» per gli anni successivi. Non so se si può immaginare la soddisfazione provata, un giorno, quando Lucia Ventura, un’interprete di conferenza  italiana assidua frequentatrice dei miei seminari, mi disse: «Lo sai che vado in cabina con le tue dispense?».

Dall’altro lato, la sempre maggiore richiesta – nel contesto dell’Unione europea – dell’insegnamento dell’italiano specialistico e settoriale, da utilizzare anche come lingua di lavoro. La costante testimonianza di colleghi che, nei livelli più avanzati, soprattutto con i professionisti, si trovavano in difficoltà – e non c’è da meravigliarsi – con una terminologia che presuppone una formazione prettamente giuridica e non dà nulla per scontato. E l’auspicio, a più voci, di pubblicazione delle dispense, mi ha motivato maggiormente ad affrontare questo non semplice lavoro.

Il principale scoglio da superare è stato deciderne la struttura: corredare ogni argomento con gli articoli di stampa – anche specialistica – sottoposti agli allievi, sarebbe stato bello. Ma poco pratico da realizzare per diversi motivi. E poi, pensando a Lucia che si portava in cabina le scomode dispense formato A4, mi sono detta che avrei dovuto realizzare un testo maneggevole e di facile consultazione, sia per i partecipanti ai corsi e seminari che per un professionista al lavoro o per un collega in aula.

Ed ecco il «Lessico pratico di italiano giuridico per stranieri», di cui dialogheremo con l’onorevole Isabella De Monte, con la dottoressa Rita Giannini Watson, funzionaria di UK Law Societies, e con l’avvocato Francesco Maria Salerno, direttore della sede di Bruxelles dello Studio Gianni-Origoni-Grippo-Cappelli & Partners, che ha egregiamente curato la Prefazione del volume.

E con tutti gli studenti stranieri, i funzionari e gli eurodeputati che avranno il piacere di unirsi a noi.

Un Lessico pratico perché vuole essere uno strumento di lavoro utile nel concreto. In cabina, in aula o in studio, è strutturato in ordine alfabetico per favorire una facile consultazione,  ed è arricchito dalla comparazione per guidare la comprensione anche di chi – italiano o straniero – giurista non è.

Ma, soprattutto, europeo, nell’ottica di una auspicata futura collocazione dell’italiano – a pieno titolo – tra le lingue di lavoro dell’UE.

Perché un «Lessico pratico di italiano giuridico per stranieri»?

Lessico
Da domani in libreria!

Bruxelles, 29 aprile 2018. Quando, nel 2007, tenni il mio primo corso di italiano giuridico all’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles, l’esigenza che emerse nell’immediato tra i partecipanti – stranieri di sei diverse nazionalità – fu quella di un testo di riferimento, dove poter approfondire o ritrovare i termini, i concetti e gli istituti analizzati in aula.

Pensai di sopperire all’inizio con schede esplicative, che accompagnavano il materiale autentico su cui baso puntualmente ogni mio corso. Per poi giungere, alla fine di ogni anno accademico, a creare vere e proprie dispense che assemblavano organicamente i documenti sui soggetti trattati e servivano da «libri di testo» per gli anni successivi. Non so se si può immaginare la soddisfazione provata, un giorno, quando Lucia Ventura, un’interprete di conferenza  italiana assidua frequentatrice dei miei seminari, mi disse: «Lo sai che vado in cabina con le tue dispense?».

Dall’altro lato, la sempre maggiore richiesta – nel contesto dell’Unione europea – dell’insegnamento dell’italiano specialistico e settoriale, da utilizzare anche come lingua di lavoro. La costante testimonianza di colleghi che, nei livelli più avanzati, soprattutto con i professionisti, si trovavano in difficoltà – e non c’è da meravigliarsi – con una terminologia che presuppone una formazione prettamente giuridica e non dà nulla per scontato. E l’auspicio, a più voci, di pubblicazione delle dispense, mi ha motivato ancor più ad affrontare questo non semplice lavoro.

Il principale scoglio da superare è stato deciderne la struttura: corredare ogni argomento con gli articoli di stampa – anche specialistica – sottoposti agli allievi sarebbe stato bello. Ma poco pratico da realizzare per diversi motivi. E poi, pensando a Lucia che si portava in cabina le scomode dispense formato A4, mi sono detta che avrei dovuto realizzare un testo maneggevole e di facile consultazione, sia per i partecipanti ai corsi e seminari che per un professionista al lavoro o per un collega in aula.

Ed ecco il «Lessico pratico» che da domani sarà in libreria – su www.curciostore.com per l’Italia,  Amazon e altri siti per l’estero – edito da Istituto Armando Curcio University Press, Collana Didattica e Ricerca, diretta dalla dottoressa Sabrina Aulitto.

Con la bellissima prefazione dell’avvocato Francesco Maria Salerno, direttore della sede di Bruxelles dello Sudio Gianni-Origoni-Grippo-Cappelli & Partners.

E dedicato al professor Angelo Raffaele Latagliata, nel 1987 ordinario della cattedra di Diritto penale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università «La Sapienza» di Roma (e membro della Commissione ministeriale Pagliaro per un progetto di riforma del Codice penale nel 1988), che avrebbe dovuto essere relatore della mia tesi di laurea se non fosse prematuramente scomparso nel 1990.

Pratico perché vuole essere uno strumento di lavoro utile nel concreto. In cabina, in aula o in studio.

Di certo, il suo contenuto non è esaustivo. Vi sono richiamati i termini, i concetti e gli istituti che emergono di regola durante i corsi; corrispondono alle domande a cui rispondo dal 2007 – pur nelle trasformazioni della prolifica legislazione italiana – ai numerosi studenti che si pregiano di seguirmi in questo percorso. Ho cercato di spiegare contenuti giuridici con una terminologia comprensibile anche a chi, italiano o straniero, giurista non è.

Con l’obiettivo di trasmettere tutta la passione che provo per l’italiano del diritto fin da quel 5 novembre 1985 quando, entrando nell’aula magna di Giurisprudenza,  sentii ripetere, più volte durante le prime ore di lezione, e rimanendone affascinata: «Ubi est societas ibi est ius. Ubi est ius ibi est societas» (Là dove è un corpo sociale organizzato, lì vi è diritto. Dove è diritto, là vi è un corpo sociale organizzato).

Spero di esservi riuscita.

 

Ai 18enni di Sabaudia la Costituzione, cuore della Repubblica italiana

 

Sabaudia, 15 aprile 2018. Quando, nel lontano 1987, sostenni l’esame di Diritto costituzionale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma, la decisione fu presto presa: mi sarei fatta assegnare la tesi di laurea in questa materia, e precisamente sull’articolo 21 della Carta (libertà di stampa). Ma il professore titolare della cattedra, in procinto di andare in pensione, scoraggiò la mia scelta, inducendomi – a mio malincuore – a dirigermi verso altri lidi.

Eppure la Costituzione della Repubblica italiana ha continuato – e continua – ad accompagnare la mia vita professionale e personale.

Avevo 21 anni quando me ne innamorai. Quasi l’età dei diciottenni (nel corso dell’anno 2018) ai quali oggi, in occasione dell’84° anniversario dell’inaugurazione della mia città, Sabaudia, il sindaco Giada Gervasi, l’Amministrazione comunale, le autorità militari hanno consegnato il testo della Carta costituzionale.

«Un autentico passaggio di consegne tra generazioni», ha affermato il giudice Corradino Diana, presidente di Cassazione con funzioni di coordinatore Sezione Lavoro presso il Tribunale di Latina, «allo scopo di tramandare un patrimonio prezioso per tutti».

Era il 2 giugno 1946 quando – sulle macerie della seconda guerra mondiale – tutti gli italiani, uomini (senza più distinzione di censo) e donne (alle urne per la prima volta), sceglievano la forma di governo repubblicana rendendo storia l’esperienza monarchica. Ed eleggevano 556 costituenti che, nel gennaio del 1947, predisponevano la prima bozza della Carta.

Approvata il 22 dicembre 1947 «con una cerimonia toccante», racconta il giudice Diana; promulgata il 27 dal Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, la Costituzione entrò in vigore il 1° gennaio 1948.

Settanta anni e non dimostrarli. «Aver inserito, come novità assoluta in Europa, i “Principi fondamentali” nei primi 12 articoli ha reso il testo resistente al tempo», ha spiegato il Presidente illustrandone ai ragazzi la struttura complessiva: “Diritti e doveri dei cittadini”, articoli dal 13 al 54; “Ordinamento della Repubblica”, articoli dal 55 al 139. Più 18 Disposizioni transitorie e finali.

E poi il valore del lavoro, richiamato più volte e in più parti, ma che Costantino Mortati volle insistentemente in apertura: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».

E la pari condizione e retribuzione tra uomini e donne (articolo 37), principio costituzionalmente sancito eppure, ancora oggi, non pienamente realizzato il quale, nel 1958, in combinato disposto con gli articoli 3 (pari dignità) e 51 (accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive), consentì a Rosa Oliva, una giovane laureata campana – desiderosa di avviarsi alla carriera prefettizia ma priva del requisito del “sesso maschile” – di cominciare, e concludere con successo, una battaglia per la parità di accesso ai concorsi pubblici attraverso un ricorso alla Corte costituzionale sostenuto proprio dal suo professore universitario Costantino Mortati. Con conseguente successiva apertura alle donne della carriera in magistratura e nelle forze armate.

I ragazzi, chiamati uno per uno dal sindaco Gervasi, hanno accolto il prezioso dono con entusiasmo. L’Orchestra “I giovani filarmonici pontini”, diretti dal maestro Stefania Cimino – alcuni dei quali diciottenni – hanno aperto l’evento con l’Inno nazionale e chiuso con l’Inno europeo, la nostra storia in musica.

«Ecco l’importanza del testo che vi viene consegnato», ha concluso la Sindaca. «Contiene le regole del nostro viver civile, il cui rispetto è il presupposto per la realizzazione di tutti i vostri sogni».

Ubi est societas, ibi est ius. Ubi est ius, ibi est societas

di Maria Cristina Coccoluto

Entrando nell’aula magna della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza”, a Roma, nel lontano novembre 1985, il concetto che sentii ripetere più volte, in quel primo giorno di lezione, dai professori di Istituzioni di diritto privato e Filosofia del diritto, fu proprio questo.

«Là dove è un corpo sociale organizzato, lì vi è diritto. Dove è diritto, là vi è un corpo sociale organizzato».

Una massima semplice ma essenziale, che mi ha introdotto nel complesso – seppur affascinante – mondo della legge, base del nostro viver civile. E con la quale oggi, a mia volta, introduco puntualmente i miei corsi e seminari di italiano giuridico.

Come l’ultimo in ordine di tempo, lo scorso 29 agosto, al Centro Albert Borschette di Bruxelles, destinato allo SCIC, Servizio di Interpretazione e Conferenze della Commissione europea. Sedici interpreti di diverse nazionalità mi hanno seguito – per ben quattro ore al giorno per cinque giorni – in un percorso storico, giuridico e sociale dalle origini del Regno d’Italia fino all’attuale ordinamento costituzionale della Repubblica, con un primo sguardo (da approfondire nel prossimo futuro) sulle riforme degli ultimi due anni.

Tutti affascinati dalla figura di Alcide De Gasperi, padre della Patria, protagonista indiscusso della storia d’Europa. E dall’italiano del diritto, patrimonio del Belpaese e dell’Unione europea.