L’ultimo saluto a Benedetto XVI, il Papa europeo

Stato della Città del Vaticano, 4 gennaio 2023. Dal 2018 a oggi, ho aperto e chiuso i miei seminari di italiano giuridico su Italia, Europa e Vaticano citando proprio lui, Papa Benedetto XVI, mostrando le immagini della sua abdicazione – l’11 febbraio 2013 – raccontando aneddoti sui rapporti di grande stima e considerazione con l’allora Presidente della Commissione europea José Manuel Barroso.

Joseph Ratzinger, il Pontefice europeo, monarca di uno Stato minuscolo, che ha scritto la storia del Continente per milletrecento anni.

E’ proprio sotto il suo Pontificato, nel giugno 2006, che la Commissione  richiese l’accreditamento nel corpo diplomatico del primo capo della Delegazione dell’Unione Europea presso la Santa Sede, all’epoca l’ambasciatore Luis Ritto.

Ma le migliaia di fedeli che hanno invaso pacificamente Roma, in questi giorni dell’esposizione delle sue spoglie nella Basilica più grande del mondo, sotto il Baldacchino berniniano di San Pietro, stanno semplicemente e affettuosamente rendendo omaggio al Papa emerito, o forse solo a quell’uomo minuto e dal perfetto pacato italiano, che ha dato un fondamentale contributo all’evoluzione della Chiesa nei tempi attuali.

E’ stato bello portargli l’ultimo saluto, oggi, in pool con i giornalisti di tante nazionalità – quasi come trovarsi a Bruxelles.

Il collega della Sala Stampa della Santa Sede ci ha guidati attraverso un percorso dedicato che, da via della Conciliazione, ci ha condotti all’ingresso del Petriano, sulla sinistra l’Aula Paolo VI fino a via della Sagrestia: per la prima volta ho guardato attraverso l’Arco delle Campane alle spalle delle Guardie Svizzere!

Su per le scale cinquecentesche, e poi in Basilica, lungo la navata di sinistra, in senso contrario al flusso dei pellegrini che non hanno esitato ad affrontare più di due ore di fila per trovarsi di fronte a lui tre, quattro secondi.

Il nostro pool ha sostato venti minuti, con i fotoreporter in postazione. Poi il collega ha accompagnato chi lo desiderava in un altro spazio riservato, per un momento di raccoglimento privato.  

E’ qui che l’ho salutato: «Auf Wiedersehen, Benedetto!»







			
					

Udienza generale di Papa Francesco in Vaticano: parla italiano la Monarchia più piccola del mondo

Stato della Città del Vaticano/Roma. Sono le 8.40 di mercoledì 9 febbraio: il taxi mi lascia a due passi da Piazza Pio XII, tra il Passetto e via della Conciliazione.

Entro in Piazza San Pietro, Stato della Città del Vaticano, in ogni caso di giurisdizione italiana fino alla base della scalinata della Basilica, la cui sicurezza è garantita dall’Ispettorato di Pubblica Sicurezza «Vaticano» della Polizia di Stato.

Il cielo è blu, e il Cupolone vi si staglia fiero, E bellissimo, come sempre.

I controlli sono molteplici.

Le Guardie Svizzere, in uniforme invernale, salutano gli ospiti cordialmente all’ingresso dell’Aula Paolo VI.

La Gendarmeria, superefficiente, fornisce tutte le informazioni necessarie. Il mio nome è sulla lista dei giornalisti accreditati: per me, prima volta in Sala Stampa Vaticana e prima volta in Tribuna Stampa.

L’udienza generale comincia alle 9.15 ma Papa Francesco arriva in anticipo.

L’attualità è il filo conduttore del suo discorso, che spazia dalla crisi dell’Ucraina alla pandemia – la quale «ha spalancato le porte alla morte» – dalla protezione degli anziani – che «vanno accarezzati come si fa con un bimbo appena nato, rispettando il mistero della vita dall’inizio alla fine» – alla gratitudine per i medici e la medicina, che aiutano a rendere più umano il trapasso».

E ancora: «la morte arriva come un ladro, è inutile accumulare». E la stoccata finale: «Io non ho mai visto un camion di trasporti dietro a un carro funebre». Tranchant.

Il Santo Padre parla italiano, la lingua ufficiale dello Stato della Città del Vaticano (il latino è quella della Santa Sede). Anche i saluti ai fedeli delle numerose nazionalità presenti sono in italiano. I religiosi madrelingua che lo affiancano sul palco traducono in inglese, francese, spagnolo, portoghese, tedesco, polacco. Abituata ad ambienti europei e internazionali multilingue, non mi sembra affatto di essere nella Monarchia assoluta più piccola del mondo, territorialmente estesa su 0,44 km quadrati.

Ma quando scende dal palco in platea, il Pontefice diventa Francesco: la gente lo chiama, lui non si sottrae. E questa fase dura quanto la parte ufficiale, se non di più.

«Avrei scommesso che non si sarebbe avventurato in mezzo al cordone di fedeli “assembrati” lungo il passaggio», dico a un collega straniero seduto accanto a me.

«Non lo conosci», replica lui. «E’ Papa Francesco».